domenica 30 agosto 2009

Paura, eh?

Ieri, mentre la brigata di lettori stava svuotando i vassoi con le meringhe, ha bussato alla porta una giovane lettrice.
- Scusate... si può? Forse è una festa privata?
- Nessuna festa privata. - ho risposto io. - Entra pure, stavamo solo godendoci delle meringhe!
La ragazza portava un vestito lungo, bianco e un paio di ciabattine bianche. I capelli castani erano raccolti in una coda e l'unica nota "trasgressiva" del suo aspetto era la montatura degli occhiali un poco buffa.
L'ho invitata a sedersi in mezzo agli altri e quel suo imbarazzo iniziale ha cominciato a stemperarsi al primo assaggio di meringa.
La vedevo interessata alla conversazione e quando ho chiesto: - Quanti di voi hanno spedito almeno un manoscritto a una casa editrice?-, tutti hanno alzato la mano, tranne lei.
Un avventore le ha chiesto:
- Davvero non ne hai mai spedito uno?
- Mai... cioè, avrei voluto, ma tanto li buttano via appena arrivano.
Da lì si è innescata una discussione sulle case editrici "carogne", del valore indiscutibile di ogni romanzo inviato dai presenti, dell'importanza delle revisioni e della valutazione disinteressata di qualcuno sull'opera.
La ragazza ha ammesso di non aver mai fatto leggere a nessuno "qualcosa di suo", perché "a chi può interessare?".
- A me. - le ho risposto, allora.
La ragazza ha quindi cominciato ad inanellare una serie di scuse per scoraggiarmi a leggere il suo manoscritto, e così mi sono posta questa domanda: perché non vogliamo far leggere ad altri ciò che scriviamo?
E mi sono data una risposta, l'unica possibile: perché temiamo che il nostro lavoro non abbia nulla di artistico, che il nostro romanzo non sia degno d'essere pubblicato e se qualcuno (un amico, un parente, un conoscente, un editor) lo scoprisse, non potremmo più recitare la parte degli "artisti incompresi".

Avere paura del giudizio degli altri è umano e inevitabile, ma scrollarcelo di dosso è indispensabile per crescere come scrittori!
Prima di considerare carogne certe case editrici, METTIAMOCI IN GIOCO!
Nella peggiore delle ipotesi potremo avere gli strumenti per rimaneggiare la nostra opera e renderla apprezzabile.
E nella migliore potremo vederla pubblicata.
Se resta su un PC a chi servirà?

E voi cosa ne pensate, miei prodi scrittori? La vostra opinione è sempre molto gradita.
Vi aspetto in locanda.

venerdì 21 agosto 2009

Racconto ispirato da parole-chiave: "Il Pozzo di Lara"

S’era installata nella cucina della zia da quarantanove minuti e non aveva smesso ancora di ciarlare con la sua enorme bocca di cernia andata a male.
Io mi dondolavo sul patio e osservavo l’aquilone dei quattro fratelli al di là del fiume. Volteggiava a scatti, s’impennava e ricadeva a piombo come un’enorme mosca cavallina.
Decisi di seguirlo.
Mi allontanai, accompagnata ancora dal chiacchiericcio molesto della vecchia zitella, fino a che il ronzio delle api a ridosso dei campi di girasoli ebbe preso il sopravvento su ogni cosa.
L’aquilone era sempre più vicino. Per raggiungerlo passai dietro alla villetta di mattoni rossi della “straniera”: viveva lì da vent’anni, ma continuavano a chiamarla così.
E fu allora che, tra le fronde, vidi la figlia della “straniera”. Era appiccicata a uno dei quattro fratelli dell’quilone, il terzo, se la memoria non mi inganna, e lo baciava con gli occhi sgranati e curiosi di uno scienziato su un microscopio.
Ad un tratto si udì la voce di sua madre:
- Lara, dove sei?
Il ragazzo si staccò all’istante e le sussurrò frettolosamente:
- A domani.
Poi le schioccò un altro bacio fugace sulle labbra e scavalcò il cancelletto più lesto di un leprotto impaurito.
Lei lo seguì con lo sguardo, accarezzandosi le labbra, increspate da un sorriso, con il dorso della mano.
- Sono in giardino, ok? – aggiunse.
- Ok. – rispose di rimando sua madre.
Poi vidi Lara avvicinarsi al piccolo pozzo del giardino e tirar su un secchio: all’interno non c’era dell’acqua, ma una scatola di latta. L’aprì e, sedendosi a terra con la schiena comodamente appoggiata al pozzo, iniziò a scrivere una sorta di lista, con tanto di trattini e “a capo”.
Forse Lara teneva un diario dei ragazzi che baciava, con corredo di voti, magari.
Se avessi avuto anch’io un diario simile ci sarebbe stato un solo nome, e forse neanche quello, visto che il mio unico bacio non era stato di quelli che si vedono alla televisione o si trovano nei romanzi della zia.
Lasciai la villetta di mattoni rossi e proseguii il mio cammino. L’aquilone era scomparso, ma la vecchia zitella “bocca di cernia” era un puntino nero verso i campi di grano.
La casa era ormai libera, così decisi di tornare dalla zia, a dondolarmi sul patio e vedere le farfalle.

di Sonia Ognibene

venerdì 14 agosto 2009

Esercizio di scrittura con PAROLE-CHIAVE alla locanda

Nella mia locanda c'è fermento nell'aria, anche le farfalle sembrano impazzite ed entrano a frotte attraverso porte e finestre spalancate. Sì, sento avvicinarsi l'autunno e, proprio per questo, lascio che stralci di sole e soffi di aria mite invadano il mio rifugio. Mi illudo, così, di poterli trattenere per l'intero inverno.
Per questo pomeriggio ho organizzato qualcosa di particolare alla locanda: questa mattina, infatti, mi ha svegliato una comitiva di 12 lettori e aspiranti scrittori.
Hanno seguito il Corso di Scrittura Creativa on line ed erano galvanizzati all'idea di poter finalmente dare una direzione ai loro pensieri.
Così, dopo i molti abbracci e sorrisi, ho proposto loro un pomeriggio di scrittura, spiluccando scones, frollini al burro, tartufi al cioccolato (messi in fresco ieri sera) e sorseggiando tè. La proposta è stata accolta con un entusiasmo stupefacente.
Ognuno potrà scegliere di scrivere dove più gli aggrada: in locanda, a ridosso della locanda, per la brughiera, giù oltre il pendio, sulle rive del lago, in piedi, seduti, sdraiati, su fogli sparsi, su quaderni, sul computer (qualcuno si è portato dietro il portatile).
Per rendere la cosa più semplice, darò loro delle parole-chiave sulle quali dovranno costruire la trama: BOCCA, AQUILONE, POZZO, MEMORIA, LISTA.
L'abilità sta nell'utilizzare tutte e cinque le parole (anche senza seguirne l'ordine) sviluppando una storia credibile intorno ad esse, senza forzature visibili. L'importante è che l'aspirante scrittore non le usi subito per poi liberarsene.
La lunghezza è a discrezione dell'autore.

Assegno anche a voi questo esercizio, miei cari lettori.
Provateci e postate tra i commenti i vostri "esperimenti".
Credo che sarà molto interessante per tutti!

lunedì 10 agosto 2009

Corso di Scrittura Creativa: DECIMA LEZIONE

Pubblicazione: importanza della grammatica, come spedire il manoscritto e a chi.

Arrivati a questo punto del corso credo che abbiate compreso quanto sia complesso il mestiere dell'aspirante scrittore. Ne avete saggiato anche la fatica fisica: la schiena dolorante, i muscoli del collo contratti, la testa in fiamme, il polso e l'avambraccio affaticati, le gambe indolenzite.

Quello che fin qui è stato omesso, però, è l'importanza della grammatica e della punteggiatura.
Se non siete abbastanza ferrati in materia vi consiglio di acquistare un buon manuale. Non saranno soldi sprecati. I dubbi e le sviste grammaticali appartengono a tutti noi, anche ai grandi autori.
Mi limiterò a porre alla vostra attenzione, invece, una lista degli errori più comuni.

Affatto
Significa “del tutto, completamente”, per cui non è corretto il suo uso da solo come negazione: “Hai mangiato la torta?” - “Affatto”.
Come rafforzativo di negazione, invece, significa per nulla. La proposizione “Non mi sento affatto stanca!” è dunque corretta.

Alternativa ed entrambi/e
Quante volte abbiamo sentito dire: “Abbiamo tre alternative”, ma l'alternativa implica una scelta fra due cose, non tre.
Stessa cosa dicasi per entrambi/e che significa “tutti e due”, perciò la proposizione “Ho comprato una tuta con inserti verdi, celesti e rosa. Entrambi i colori sono pastello” è errata.

A me mi e a te ti...
Sono forme familiari e devono essere sostituite da : “A me/a te piace...”.

Assolutamente
Rispondere “Assolutamente” nel senso di “in nessun modo” è errato. La forma corretta è “Assolutamente no”, se vogliamo rafforzare la negazione.

Cominciare e cessare
Il complemento di tempo unito a verbi che indicano un inizio o una fine non deve essere introdotto dalla preposizione da. Non si dice, quindi: “Da domani inizio la dieta!” ma “Domani inizio la dieta”.

Davanti e vicino
Richiedono l'uso della preposizione a: “Sono davanti a casa” e non “Sono davanti casa”.

Disfare e soddisfare
L'imperfetto di disfare e soddisfare è disfacevo e soddisfacevo, non disfavo e soddisfavo.

Familiare
Non famigliare.

Interdisciplinarità
La forma largamente usata interdisciplinarietà è errata.

Interpretare
Non interpetrare.

Irruente
È la forma corretta. Meno corretta è irruento (anche se si sente sempre in TV).

Ma e però
Vanno usati singolarmente, non in coppia.

Meteorologia, meteoropatico, aeroporto
Queste sono le forme corrette, non metereologia, metereopatico, aereoporto che sentiamo perfino alla televisione.

Numerali ordinali
Vengono scritti senza le letterine in esponente: Elisabetta II non Elisabetta IIª.

Obiettivo
È la forma più comune, anche se obbiettivo è comunque accettata.

Qual
Rifiuta l'apostrofo, perciò qual'è non è la forma corretta.

Riuscire

Nel significato non essere in grado di deve essere seguito dalla preposizione a + infinito. “Non riesco dormire” è forma errata.

Sennò e altrimenti

Vanno usati singolarmente e non in coppia: altrimenti significa già sennò.


Il pronome sé vuole l'accento per distinguersi da se congiunzione. Quando è affiancato a stesso e medesimo conserva ugualmente l'accento.

Succube
È la forma più usata, ma le forme succubo/a non sono errate (anche se personalmente non le userei mai).

La punteggiatura
Per la stragrande maggioranza degli adolescenti -assuefatti all'ingozzata di SMS- e per buona parte degli adulti, la punteggiatura è un dettaglio di scarsa rilevanza.
Ne ha, invece, e molta! Immaginate un cartello con la scritta: “Qui si vendono stivali per bambini di gomma” pensereste ad un articolo riservato a piccoli alieni elastici, ma se scriviamo la stessa frase inserendo la virgola: “Qui si vendono stivali per bambini, di gomma” afferriamo subito il senso della frase.

Il punto indica una pausa lunga.

La virgola, una molto breve.
Quando siete dubbiosi riguardo al suo uso, leggete ad alta voce il periodo e, laddove fate una pausa naturale o cambiate intonazione, inserite la vostra virgola.

Il punto e virgola
è una pausa intermedia tra i due punti, perché separa due o più segmenti di un periodo. Non è seguito dalla lettera maiuscola. Può essere sostituito dal punto.

I due punti servono per introdurre una spiegazione, un elenco, un discorso diretto.

Il punto interrogativo introduce una domanda, un'espressione di esortazione, di dubbio, di meraviglia.

Il punto esclamativo
viene usato nei comandi, nei rimproveri o per esprimere meraviglia, rabbia, gioia.

I puntini di sospensione, che devono essere non più di tre, indicano una sospensione del pensiero, un imbarazzo, un'esitazione.

Le virgolette si distinguono in:
caporali < >
virgolette alte “ ”
apici ' '.
Le prime due servono per racchiudere discorsi diretti, citazioni, titoli.
Gli apici vengono solitamente usate per dare rilievo a una o più parole all'interno di una proposizione.

La lineetta
Sostituisce le virgolette per introdurre le battute di un dialogo o - come faccio spesso io - per racchiudere un inciso.

Il trattino è più corto della lineetta e serve a unire due membri di una parola composta o ad indicare la divisione in sillabe prima di andare a capo.

Le parentesi tonde servono a racchiudere un inciso più forte, per inserire delle note, indicare l'autore di una citazione, una data.

Le parentesi quadre ─ usate di rado – servono per inserire una parola o una frase che non fanno parte del testo citato ma che danno un'informazione maggiore al lettore.

La sbarretta
Si usa per separare i versi di una poesia evitando di andare a capo, per esprimere una contrapposizione o per formare la congiunzione copulativo-disgiuntiva e/o.

Ora passiamo alle dritte per la pubblicazione.
Finalmente, direte voi!
In effetti è ciò che ci interessa maggiormente. Non appena ci accingiamo a scrivere un racconto ci immaginiamo già ricchi e famosi e, non di rado, sprechiamo gran parte del nostro tempo a fantasticare piuttosto che a concentrarci sulla trama e i personaggi.
È umano e comprensibile lo so. L'importante è non cullarsi in sogni di gloria inesistenti, altrimenti ne resteremo terribilmente delusi.

Le regole della pubblicazione

1) PORTATE A TERMINE UN ROMANZO O UN RACCONTO.
SE NON AVETE NIENTE TRA LE MANI, INIZIATELO E FINITELO
2) STAMPATELO
3) REVISIONATELO PIÙ VOLTE
4) FATE UNA RICERCA ACCURATA IN INTERNET SULLE CASE EDITRICI ALLE QUALI VOLETE SPEDIRE IL VOSTRO MANOSCRITTO per sincerarvi dei generi e delle collane che editano. Si può sperare di far pubblicare un romanzo da una casa editrice che si occupa solo di saggi e poesie? Preoccupatevi anche di cercare i nomi dei direttori editoriali ai quali vi rivolgete. Vi toglierà l'aria da sprovveduti.
5) INVIATE IL MANOSCRITTO ─ senza graffette o rilegature – controllando che non abbia macchie, abrasioni, refusi ed errori grammaticali. Abbiate cura di formattarlo secondo i criteri tipografici della casa editrice da voi scelta che, tanto per fare un esempio, potrebbe utilizzare le virgolette o i caporali al posto delle lineette per introdurre i dialoghi.
Accludete una LETTERA D'ACCOMPAGNAMENTO con il titolo dell'opera, il numero di parole o dei caratteri, il vostro nome, indirizzo, recapito telefonico ed e-mail. Questi dati dovranno essere riportati anche sulla prima pagina dell'opera.
Necessaria è anche la LETTERA DI PRESENTAZIONE che ha il compito di incuriosire l'editore. Qui, più che mai, dovete mettere a frutto le vostre abilità di scrittori. Iniziate spiegando i motivi che vi hanno spinto a scegliere quel determinato editore, poi, in poche righe, fate un riassunto accattivante dell'opera. Inserite anche una vostra breve autobiografia. Non guasta.
Non dimenticate di aggiungere in chiusura che l'opera è frutto del vostro ingegno e che avete accluso una busta affrancata per la risposta.
Non siate troppo deferenti e neppure troppo amichevoli. Siate professionali.
6) ATTENDETE LA RISPOSTA PAZIENTEMENTE. Chiamare le redazioni o inviare e-mail dopo poche settimane non serve, anzi, indispone il personale e vi mette in cattiva luce.

Vi consiglio di prendere nota di alcune regole generali, preziosissime, per formattare un testo, al link
www.writersmagazine.it/info.php/collaborare gestito dal prolifico e brillante scrittore e direttore della rivista Writers Magazine Italia, Franco Forte.

Ai consigli di Franco Forte io aggiungerei anche questa raccomandazione: se avete una è ad inizio capoverso - quindi maiuscola - non scrivetela in questo modo E', vale a dire con l'apostrofo al posto dell'accento. Andate invece (se utilizzate Word) su Inserisci/ Carattere speciale (o Simbolo) e scegliete la È con l'accento grave che vi occorre.

Bene. A queste vanno aggiunte altre basilari regole di formattazione:

Le cartelle - vale a dire i fogli in A4 scritti solo su una faccia - devono essere di 30 righe per 60 battute, con caratteri Courier New, Times New Roman o Arial, a 12 punti.

Le righe devono prevedere almeno due centimetri di margine e la doppia spaziatura fra una riga e la successiva.

Ogni paragrafo deve avere un rientro.

Le pagine vanno numerate in basso a destra.

La sillabazione deve essere corretta, vale a dire con il trattino a fine riga se la parola è troppo lunga. Per impostare questa opzione andate su File/Anteprima di stampa/ Strumenti/ Lingua/ Sillabazione e mettete il segno di spunta sul quadratino “sillaba automaticamente documento” e, infine, cliccate su OK.

ESERCIZIO 12
Scrivi una lettera di presentazione, esercitandoti a riassumere in modo accattivante la tua opera. Se il romanzo è terminato, accludilo e spedisci il tutto. È arrivato il momento di rompere gli indugi.

Se dopo aver seguito tutte i consigli trovati in questo corso non ricevete comunque risposta dalle case editrici, avete altre tre possibilità:
- rivolgervi ad agenti letterari (ma attenti ai marpioni succhia-soldi!)
- partecipare a concorsi letterari seri (io l'ho fatto ed è stata la scelta vincente)
- pubblicarvi a vostre spese.
Quest'ultimo è un punto molto dolente.
Tanti, troppi individui senza scrupoli, si spacciano per editori seri.
Come riconoscerli?
Solitamente questi pseudo-editori contattano subito il malcapitato scrittore per coprirlo di elogi e, poi, attaccano col “pistolotto” dell'editoria in crisi, della missione dell'editore, delle terrificanti spese che ogni editore deve affrontare per far emergere i talenti nascosti, e quindi... morale della favola... parlano di contributo per la pubblicazione.
Spesso questi “contributi” ammontano a migliaia di euro per un centinaio di copie, le quali, nella stragrande maggioranza dei casi, non entreranno mai in libreria. Sperare che vengano pubblicizzati è una vera chimera! Dovete fare tutto da soli. A questo punto vi consiglierei di andare da un tipografo, farvi fare un preventivo e “buonanotte”. Con la stessa cifra potreste averne 1000 di copie, non 100!

Quel che conta è il codice ISBN -International Standard Book Number- che avrete visto un milione di volte in retro copertina.
È un sistema unificato per la numerazione dei libri su scala internazionale, che rende unico e, perciò, immediatamente identificabile il vostro romanzo.

Una serie di avvertimenti utilissimi per sfuggire alle trappole editoriali potete trovarli sul sito: www.danaelibri.it/rifugio/rifugio.htm

Mi sembra oneroso precisare che non tutte le casse editrici minori nascondono insidie. A volte i contributi richiesti sono di modesta entità e garantiscono il codice ISBN, la pubblicità, la distribuzione reale in alcune librerie e la possibilità d'acquisto diretto sui siti delle case editrici in questione.

Mi auguro che quanto detto fino ad ora vi abbia divertito, vi sia stato utile e vi abbia anche fatto innamorare della lettura.
Mi piace pensare che, magari, qualcuno fra voi abbia anche scoperto un talento artistico nascosto e voglia metterlo seriamente in pratica.

Cos’altro aggiungere? Spero di incontrarvi in libreria… come scrittori.

lunedì 3 agosto 2009

Corso di Scrittura Creativa: NONA LEZIONE

La revisione: i veri scrittori la fanno

Ognuno di noi ha un approccio diverso alla scrittura.
C'è chi centellina ogni parola e butta giù un paragrafo in due ore e chi, lasciandosi travolgere dall'impeto creativo, produce trenta pagine in mezz'ora.
Ci sono alcuni che scrivono bene circondati dal disordine, dal rumore, e altri che non riescono ad andare avanti se non si trovano in un luogo confortevole, ordinato e silenzioso.
In verità, non c'è un modo giusto o sbagliato per mettersi a scrivere, così come non conta quale sia il momento migliore della giornata per farlo: prime ore del mattino, ora di pranzo, tardo pomeriggio, notte fonda.
La cosa migliore sarebbe quella di mediare le diverse componenti ma, se proprio non ci riuscite, è opportuno che ascoltiate almeno questo consiglio.
Non siate meticolosi nella scelta delle parole giuste e non rileggete continuamente ciò che avete scritto un istante prima.
Perché?
Perché siete nella PRIMA STESURA, e a questa seguirà una seconda, una terza, una quarta e una quinta se non sarete soddisfatti. Aldo Busi ne ha fatte addirittura quattordici del suo primo romanzo Seminario sulla gioventù!
Quindi, non perdete tempo. Scrivete e basta.
Un libro deve essere coerente nel complesso delle sue pagine, non nel singolo paragrafo!
La visione d'insieme è fondamentale per la buona riuscita di una storia, e se il libro non è terminato non possiamo coglierla.
Uno scrittore che lavora seriamente lo sa e assume due identità contrapposte. Nella prima stesura è un cavallo che galoppa libero nella prateria, si lascia andare completamente, scrive buttando giù tutti i particolari che gli saltano in testa, tutte le metafore e le similitudini possibili, senza vergogna o pudori di sorta.
Nella seconda è un censore scrupolosissimo che taglia senza pietà tutto ciò che è banale, ridondante, incoerente, fuorviante, inappropriato, e manipola, corregge, amplia e riscrive laddove occorre. Insomma, è un baio imbrigliato che va al trotto seguendo percorsi obbligati.

La revisione può sembrarvi un lavoro pesante e noioso e, ad essere sinceri, in alcuni casi lo è, ma può essere anche molto divertente e stimolante.
Avete davanti la vostra “creatura”, l'avete partorita voi dopo mesi di estenuante lavoro fatto di frustrazione, esaltazione, rabbia, gioia, isolamento e altre mille emozioni contrastanti. Ve la rigirate tra le mani pensando che il grosso sia già stato fatto. E avete ragione. Perciò, non scoraggiatevi e rimettetevi al lavoro con entusiasmo.

Alcuni obietteranno che è quasi impossibile revisionare il proprio manoscritto appena terminato.
Sì, è verissimo. Vi risulta talmente familiare che non riuscite a rimaneggiarla. Occorrono dei giorni, in alcuni casi delle settimane, per mantenere il necessario distacco dall'opera.

Cosa si può fare, allora?
Se lavorate al computer, stampate ciò che avete scritto e, con un pennarello tra le dita, cominciate a segnare i passaggi che suonano male o che vi annoiano.
Oppure, se avete amici che siano pazienti lettori e anche abili editor, potreste affidare al loro giudizio la vostra “creatura”. In questo caso, non rifiutate a priori ogni giudizio negativo, né accettate di buon grado qualunque tipo di correzione perché persino gli editor professionisti possono sbagliare. Se, ad esempio, la vostra prosa voleva essere rabbiosa e sconnessa per ragioni intrinseche alla storia e ai personaggi, le modifiche di un editor potrebbero snaturarla.

Procediamo.

Date un'occhiata al numero dei vostri personaggi e chiedetevi se sono sufficienti per raccontare la vostra storia o se sia il caso di eliminarne qualcuno per non generare confusione nel lettore.
Sono poco caratterizzati?
Sono stereotipati?
Sono sufficientemente motivati a raggiungere degli scopi?

Per ciò che riguarda la trama l'incipit è fondamentale. La maggior parte dei libri che restano invenduti sugli scaffali hanno un inizio fiacco, dallo scarso potere immaginifico. Per quanto mi riguarda, le descrizioni iper-dettagliate dei paesaggi hanno un notevole effetto soporifero sulla psiche. Evitatele. Cercate di iniziare con qualcosa che evochi già il fulcro della storia, che metta già a fuoco un personaggio.
Nella parte centrale avete messo in pratica i consigli de Il viaggio dell'Eroe?
L'evento o gli eventi portano con gradualità al climax?
L'epilogo è terribilmente scontato? Oppure è tanto imprevedibile da risultare inverosimile?
Il finale perfetto – difficilissimo – dovrebbe essere, come dice Peter Selgin, “sorprendente e inevitabile”. Deve contenere la meraviglia, ma al tempo stesso risultare l'unica conclusione possibile per gli eventi accaduti precedentemente.

Il punto di vista è da tenere sotto controllo. L'avete rispettato?
Pensate che cambiandolo la storia potrebbe benficiarne?
Vorreste alternare diversi punti di vista?
Pensateci bene e procedete nella revisione.

Nelle descrizioni ricordatevi di evocare nel lettore i cinque sensi.
Bandite da esse l'astratto e il generale: siate attenti al concreto e al particolare.

Nel dialogo siate concisi. Le lungaggini e i “comizi elettorali” non sono ammessi.
Per appurare che un dialogo funzioni occorre che sia letterario ma recitabile, perciò, leggetelo ad alta voce.
Curate il sottotesto di un dialogo.
Se siete abbastanza bravi, lasciate anche che i personaggi cadano in contraddizione mentre discutono. Nella realtà succede sempre, non è vero?
Alternate i dialoghi alla narrazione.

Fate un buon uso dei flashback. Se abusate di questo strumento finirete per confondere il lettore irrimediabilmente. Che siano brevi, quindi, e limitati a singoli periodi.

Curate l'ambientazione. È necessario trasportare il lettore nel tempo e nello spazio delle storie. Una storia di maldicenze che porta a drammatiche conseguenze non avrebbe alcun impatto emotivo se fosse ambientata in una metropoli come Milano. Non vi pare?
Usate l'ambientazione anche come metafora di uno stato d'animo. Campi fioriti e sole splendente si adatteranno a romanzi sull'infanzia felice, mentre piogge battenti e venti impetuosi potranno essere lo sfondo ideale per un thriller.

Tornando alla prima soluzione, potete revisionare la vostra storia cominciando dai dialoghi per finire alla narrazione vera e propria, oppure lavorare alla totalità della storia, tagliando i brani che non vi convincono affatto e riscrivendoli completamente. Perché? Perché le espressioni vecchie bloccano il nuovo flusso creativo.
Molti scrittori, addirittura, salvano solo pochi paragrafi e riscrivono l'intera opera.

Ah! La grande Virginia Woolf conservava ogni stesura delle sue opere: fatelo anche voi! Ognuna contiene in sé dei tesori creativi che potrebbero illuminarvi tardivamente.