Io mi dondolavo sul patio e osservavo l’aquilone dei quattro fratelli al di là del fiume. Volteggiava a scatti, s’impennava e ricadeva a piombo come un’enorme mosca cavallina.
Decisi di seguirlo.
Mi allontanai, accompagnata ancora dal chiacchiericcio molesto della vecchia zitella, fino a che il ronzio delle api a ridosso dei campi di girasoli ebbe preso il sopravvento su ogni cosa.
L’aquilone era sempre più vicino. Per raggiungerlo passai dietro alla villetta di mattoni rossi della “straniera”: viveva lì da vent’anni, ma continuavano a chiamarla così.
E fu allora che, tra le fronde, vidi la figlia della “straniera”. Era appiccicata a uno dei quattro fratelli dell’quilone, il terzo, se la memoria non mi inganna, e lo baciava con gli occhi sgranati e curiosi di uno scienziato su un microscopio.
Ad un tratto si udì la voce di sua madre:
- Lara, dove sei?
Il ragazzo si staccò all’istante e le sussurrò frettolosamente:
- A domani.
Poi le schioccò un altro bacio fugace sulle labbra e scavalcò il cancelletto più lesto di un leprotto impaurito.
Lei lo seguì con lo sguardo, accarezzandosi le labbra, increspate da un sorriso, con il dorso della mano.
- Sono in giardino, ok? – aggiunse.
- Ok. – rispose di rimando sua madre.
Poi vidi Lara avvicinarsi al piccolo pozzo del giardino e tirar su un secchio: all’interno non c’era dell’acqua, ma una scatola di latta. L’aprì e, sedendosi a terra con la schiena comodamente appoggiata al pozzo, iniziò a scrivere una sorta di lista, con tanto di trattini e “a capo”.
Forse Lara teneva un diario dei ragazzi che baciava, con corredo di voti, magari.
Se avessi avuto anch’io un diario simile ci sarebbe stato un solo nome, e forse neanche quello, visto che il mio unico bacio non era stato di quelli che si vedono alla televisione o si trovano nei romanzi della zia.
Lasciai la villetta di mattoni rossi e proseguii il mio cammino. L’aquilone era scomparso, ma la vecchia zitella “bocca di cernia” era un puntino nero verso i campi di grano.
La casa era ormai libera, così decisi di tornare dalla zia, a dondolarmi sul patio e vedere le farfalle.
di Sonia Ognibene
4 commenti:
Ciao, in effetti il mio post non ha prestese d'essere una poesia (lungi da me offendere i poeti veri), ma sono solo considerazioni sulla mia capacità di scrivere in questo periodo. Leggo che sei scrittrice, ebbene anch'io preferisco questo termine (sebbene non riesca a definirmi tale). Ma ho pubblicato due libri per cui qualche cosa ho scritto. Sarà il caldo, ma soffro di ritenzione lessicale e in questo periodo non mi ci voleva. Tapenoon.
p.s. sono felice che comunque ti sia piaciuto il post.
Grazie Tapenoon di essere passata di qua!
Non credo tu soffra di ritenzione lessicale... se fosse così, non me ne sono accorta.
Però, se ti va, prova a fare l'esercizio che ho proposto con le parole-chiave.
Ciao ;-)
Rimando un commento che forse si era perso per strada.
Grande questo racconto, Sonia!
Mescola in non molte righe humour, cenni a paesaggi ed a psicologia dei personaggi, ma senza fastidiosi o inutili “accumuli.”
Poi, metafore-strali come “…con la sua enorme bocca di cernia andata a male”, mi ha fatto scompisciare!
Mi ha ricordato certe traumatiche visite a qualche vecchia zia… visite sulle quali taccio per carità di patria; pardon, di famiglia…
Ciao e buon week-end!
Grazie Riccardo, apprezzo molto i tuoi complimenti (spero sinceri... :-D)!
Il racconto era solo un esperimento e la dimostrazione come da un piccolo gruppo di parole scelte a caso si possano costruire milioni di storie diverse!
Perché non ci provi anche tu? Sei così bravo ad inventare storie!
Dai, Riccardo, non farti pregare!
Buon fine settimana anche a te.
Posta un commento