Ho saltellato qua e là tra i vostri blog, in qualche modo ho scostato le porte delle vostre dimore e affacciandomi ho catturato alcuni istanti che vi appartengono, in altre vi ho trovato ristoro prima di riprendere il cammino. Quasi ovunque fermento e preparativi per il Natale. In locanda, no: poco fermento, qualche decorazione e un alberello con presepe a testimoniare l’avventura di Nostro Signore su questa Terra trafitta e confusa, banalmente deviata dall’orrore e dal brutto estetico, immanente e finanche metafisico. No, non sono affranta e neppure scoraggiata. Tutt’altro.
Ho frugato nelle emozioni e ho rinvenuto perle screpolate dallo scorrere del tempo e annerite dal mio uso maldestro. Avrei potuto riporle, tanto (brutte com’erano) non le avrei indossate di certo. Invece le ho poste davanti a me e, con un panno umido, le ho lisciate pazientemente una ad una; la patina opaca ha pian piano lasciato il posto a un lucore argenteo. Alla fine della mia impresa non le ho infilate per indossarle tutte. Ne ho preso una sola, quella trovata in fondo e che mi è costata più fatica far risplendere. E l’ho indossata. Proprio come per Griet*, mi costerà dolore e lacrime indossarne un’altra, ma non subito, non ora, e soprattutto non per imposizione di qualcuno.
*Griet è la modella dipinta nel quadro “La ragazza con l’orecchino di perla” di Vermeer, nata dalla penna di Tracy Chevalier.