venerdì 31 luglio 2009

Spocchia culturale: se la conosci, la eviti

Ieri, nel tardo pomeriggio, ho lasciato la locanda per far visita alla libreria di Miss Dalloway.
Mi piace andarci almeno una volta alla settimana: posso accucciarmi in qualche angolo a gambe incrociate e saggiare la bellezza o banalità di un nuovo romanzo, senza che qualche “sapiente borioso” gridi allo scandalo per vituperio al “tempio sacro della cultura”.
E’ vero, anche per me il libro intonso col suo fresco odore di stampa ha un non so che di mistico, ma considerare blasfemo un lettore che si accomoda a terra per gustare un romanzo è qualcosa che non penserei nemmeno sotto tortura.
Ebbene, questi sapienti boriosi, che per semplificare definirò S.B., parlano (e straparlano) continuamente di analfabetismo di ritorno per il mancato uso corretto della lingua scritta e la diserzione della lettura in giovani e adulti.
Voi direte: “Ma è la verità! La situazione è gravissima, soprattutto da quando sono venuti fuori i cellulari e quei maledetti SMS!”.
Sì, nulla da dire. Tutto vero. Ma come mai, allora, quando un romanzo vende un numero spropositato di copie, gli S.B. invece di rallegrarsi e sventolare bandiere, stigmatizzano libro e autore come scarsi, banali e commerciali ?
Penso a Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, a tutti i romanzi di Federico Moccia e a Il Codice da Vinci di Dan Brown, tanto per citarne alcuni.
Gli S.B. non sanno che giudicando libri e autori inetti danno inconsapevolmente (o forse di proposito) dell’idiota a tutti i lettori che li hanno scelti?
La verità, miei cari, è che buona parte del mondo culturale è impregnato di spocchia.
Gli S.B., in realtà, non si rallegrano quando i giovani si appassionano alla lettura, perché ciò rappresenta un’intrusione nel loro mondo di dotti, di “eletti”.
Non vogliono lasciare il loro scranno. Sono restii a condividere il sapere.
Anziché ammettere il valore di uno scrittore commerciale (nel senso letterale e non spregiativo del termine) preferiscono denigrarlo per sentirsi ancora in cima al mucchio.

Ma a che cosa e a chi serve tutto questo? A nulla e a nessuno, lo capite da soli.

S.B., abbandonate la vostra spocchia, parlate alla gente nel modo più semplice possibile e incoraggiate alla lettura senza denigrare nessuno.
Non lo sapete che la giustizia e la pace tra i popoli passa soprattutto attraverso la conoscenza e la condivisione del sapere?

A voi tutti buona lettura. Vi aspetto in locanda.

lunedì 27 luglio 2009

Corso di Scrittura Creativa : OTTAVA LEZIONE

Le descrizioni: la ricerca delle parole giuste, le figure retoriche e i dettagli efficaci

Osservate questi due brani tratti da On the Road di Jack Kerouac (traduzione di Magda de Cristofaro):

“Poi c'è Conny Jordan, un pazzo che canta e butta in aria le braccia e finisce schizzando sudore su tutti e prendendo a calci il microfono e strillando come una donna; e lo vedete a notte fonda, esausto, ascoltare indiavolate esecuzioni di jazz al Jamson's Nook con quei suoi grossi occhi rotondi e le spalle cascanti, lo sguardo appannato fisso nel vuoto, e un bicchiere davanti.”

“Adesso puntavamo il muso sferragliante della macchina verso sud e ci dirigevamo in direzione di Castle Rock, nel Colorado, mentre il sole si faceva rosso e i picchi delle montagne volte a ovest parevano una birreria di Brooklyn nei crepuscoli di novembre.”

E ora altri due brani tratti da Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy (traduzione di Chiara Gabutti) :

“Vide che quando sorrideva aveva profonde fossette, che indugiavano a lungo anche dopo che il sorriso aveva abbandonato i suoi occhi. Vide che le sue braccia brune erano rotonde e sode, perfette. Che le sue spalle risplendevano, ma che i suoi occhi erano da qualche altra parte. Vide che, nel porgerle dei regali, non ci sarebbe stato più bisogno di tenerli sul palmo aperto in modo che lei non lo toccasse... Ammu vide che lui aveva visto, e distolse lo sguardo. Lui pure lo distolse. I demoni della storia tornarono a reclamarli. A riavvolgerli nella vecchia pelle sfregiata della storia e a ricacciarli nelle loro vere vite. Dove le Leggi dell'Amore stabiliscono chi deve essere amato. E come. E quanto.”

“Con l'inizio di giugno, però, arriva il monsone da sudovest, portando tre mesi di vento e pioggia, con brevi incantesimi di sole aspro e brillante che i bambini elettrizzati rubano per i loro giochi. La campagna diventa di un verde sfrontato. I confini sfumano man mano che i filari di tapioca mettono radici e fioriscono. I muri di mattoni diventano verdemuschio. I viticci del pepe nero serpeggiano su per i pali della luce. I rampicanti selvatici traboccano dagli argini di laterite e si riversano nelle strade allagate.”

L'abisso tra i due stili è lampante.
Ma una cosa li accomuna: entrambi esercitano una potente forza attrattiva sul lettore, che riesce a “vedere” chiaramente sia Conny Jordan che Ammu, a percepire sia la magia delle luci del tramonto sulla strada che va a Castle Rock che gli odori del muschio ad Ayemenem.
Perciò, che la vostra prosa sia scarna o ricca di “carezze” lessicali, dovrete sempre ricreare nel lettore l'illusoria fisicità dei personaggi e dei luoghi in cui essi si muovono.

Come?
Ci sono delle tecniche.Vediamole insieme.

I cinque sensi
Nella realtà noi vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, annusiamo, assaporiamo.
La somma dei nostri sensi ci porta a sentire pienamente gli individui che incontriamo e i luoghi in cui viviamo.
Per rendere la narrativa un'esperienza straordinaria, lo scrittore deve fornire tutte le infomazioni atte a coinvolgere i cinque sensi.
Dovete descrivere l'aspetto fisico di un personaggio, gli abiti che indossa e come li indossa, accennare alla sua voce, all'odore che emana. E il lettore si sentirà immerso totalmente in quella realtà, frutto della vostra fantasia.
Non è meraviglioso?
A me sembra un miracolo.

ESERCIZIO 10
Rileggi i brani sopra citati e sottolinea i sostantivi, gli aggettivi e i verbi che stimolano i cinque sensi.

Fornire semplicemente dettagli sensoriali, però, non basta.
Molti scrittori alle prime armi fanno un uso troppo sfrontato di aggettivi e avverbi che rendono le descrizioni fiacche e trite.
“LASCIAMI IN PACE!” è più incisivo di “Lasciami in pace - disse rabbiosamente”.
E “I suoi intensi occhi verdi mi fecero vacillare” è meno potente di “Aveva iridi verde-muschio, e pupille piccole e scure che trafiggevano come spilli. Non riuscii a sostenere lo sguardo e vacillai”.
La parola d'ordine è PRECISIONE.
Siate precisi. Scegliete la parola giusta, non quella che si avvicina.
Con questo non voglio dire che gli aggettivi e gli avverbi debbano essere banditi dalla narrazione! Facendo un paragone culinario, vedeteli come... il sale e il pepe. Se li userete con parsimonia - accanto a nomi e verbi forti - esalterete il gusto delle vostre “pietanze”.

Il linguaggio figurato
Il linguaggio figurato è costituito dalle similitudini e dalle metafore.
-La similitudine è una figura retorica che mette a confronto due cose essenzialmente diverse attraverso l'uso della preposizione "come".
-La metafora è una figura retorica con cui si definisce una cosa come se fosse un'altra.

Es.
-Lo fissò come un cane punta la preda. (similitudine)
-Spalancò la caverna e ne uscì odore di muffa e tizzoni inceneriti (metafora che indica la bocca di un fumatore che trascura la sua igiene orale)

Onomatopea, allitterazione e lirismo.

-La onomatopea è una parola che contiene in sé il rumore della cosa che indica.
Es.
La campanella tintinnò.

L'allitterazione si ottiene quando due o più parole hanno le iniziali in comune.
Es.
Sulle sue labbra rossastre ruggivano rotte maledizioni.

Il lirismo è una prosa che diventa poesia, attraverso il sapiente uso del suono e del ritmo all'interno di una frase.
Es.
Sussurro, sussurro, il vento fra i pioppi, dal tono elettrico. I cigni fischiano contro di me... Lastre di ghiaccio, brinate e limpide: il vento le spinge sulla riva meridionale... Se non stessi leggendo queste superfici, riuscirei a interpretare i loro rumori? Scricchiolare, gorgogliare, spostarsi, scorrere, crepitare, sospirare: non è un rumore che abbia mai sentito prima. È un suono soffice, facile, intimo.
(tratto da Una musica costante di Vikram Seth, traduzione di Massimo Birattari)

Errori da evitare
Evitate metafore, similitudini, espressioni usate un miliardo di volte da chiunque.
Es.
Mi trattò con i guanti bianchi.
Stava lì, muta come un pesce.
La classe fissava i libri con la testa tra le nuvole.
Ero così felice che toccai il cielo con un dito.
Avevo il cuore in gola.

Non usate troppe metafore contemporaneamente e che contrastano fra loro.
Es.
Luisa era una donna forte. Nella vita nuotava controcorrente e io l'ammiravo mentre la vedevo scalare la vetta delle sue ambizioni.
L'uso di nuotare e scalare in una stessa frase disorienta il lettore e distrugge il potere immaginifico delle due metafore.

Non siate prolissi nelle descrizioni o troppo accurati. Cercate, invece, il dettaglio preciso che possa servire alla narrazione per comunicare qualcosa: la solitudine, il silenzio, la rabbia, l'ottusità, la forza e così via.
Es.
Il vecchio rimproverò sua moglie. Lei trotterellò nell'altra stanza, infilandosi un dito in bocca e scuotendo la testa.

In questa frase la donna non è descritta con molti particolari, ma quelli che ci sono bastano al lettore per farsi un'idea chiara del personaggio: la donna sembra avere delle turbe mentali che si porta dietro dall'infanzia.

ESERCIZIO 11
Inventa un personaggio e descrivilo fisicamente e caratterialmente adottando le tecniche viste in questa lezione. Vai a ruota libera, sprigiona la fantasia. Poi revisiona il brano, e sfrondalo degli elementi poco pregnanti e dalle frasi stereotipate. Ciò che dovresti ottenere è una descrizione breve ma dai dettagli efficaci.


Datevi da fare! È un esercizio molto divertente.
Voglio ricordarvelo ancora una volta: l'unico modo che avete per scrivere una prosa degna di uno scrittore è quello di scrivere tanto, esercitarsi, sperimentare e... riscrivere.
A tal proposito, nella prossima lezione ci occuperemo proprio della riscrittura di un testo.
Buon lavoro!

venerdì 24 luglio 2009

Eve Green e la magia del Galles

Non c’è un modo giusto o sbagliato di scegliere un libro: può essere frutto di una scelta ben ponderata o quasi obbligata per via dell’assillante battage pubblicitario, della ricerca precisa di un genere, di un argomento, di un autore preferito. Può essere anche per l’immagine che colpisce il nostro occhio, per il titolo evocativo, per la trama in quarta di copertina, per l’incipit o, ed è questo il mio caso, per un incontro del tutto casuale e non previsto. Passando in una cartoleria/tabaccheria, mi sono imbattuta in 2 poveri “orfanelli”: La coscienza di Zeno (che ho letto e riletto numerose volte) ed Eve Green di Susan Fletcher, vincitore del Whitbread First Novel Award.
Quel “First” mi ha convinta subito, perché resto sempre affascinata dalle opere prime che vincono premi letterari di una certa importanza. Un romanzo di scarso valore non potrebbe di certo vincerne uno, perciò me lo sono portato a casa e ho cominciato subito a scoprirlo, parola dopo parola, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, fino a sentirmi stordita dalla sua prosa seduttiva e avvincente.
Il Galles - dal vento impietoso, le rocce aguzze, i dirupi, i rovi e le torbiere - grazie alla maestria dell’autrice diventa un luogo magico, quasi irreale.
Il paesaggio non può prescindere dalle vicende dei personaggi, non sono uno sfondo per rendere il romanzo più interessante, ma sono l’essenza stessa del romanzo. Evangeline, o meglio, Eve non sarebbe stata quella che è senza Pencarreg e il Tor. Nel bene e nel male.
Sì, perché il male stravolge la sua fanciullezza incosciente, ma la consapevolezza della maturità le regala poi quanto di più prezioso una donna possa desiderare.
Sempre in quegli stessi luoghi, quasi ad esorcizzare gli eventi tragici del passato.


Andrò in Galles. Ho deciso.
E come Eve Green mi siederò sullo spuntone battuto dal vento più aspro del Tor-y-Gwynt e lascerò che i capelli si innalzino verso il cielo, insieme al filo dei miei pensieri più segreti.

martedì 21 luglio 2009

Corso di Scrittura Creativa: SETTIMA LEZIONE

Dialoghi: quando, come, perché

Alcuni scrittori ritengono che le descrizioni accuratissime e i virtuosismi lessicali e sintattici possono da soli reggere la struttura di una storia.
Non è così. Molto spesso annoiano persino i lettori più incalliti, e tendono a bloccare l'evoluzione della trama.
I dialoghi ben fatti, invece, mostrano nel modo più diretto l'interazione tra i personaggi e, conseguentemente, il crescendo di una storia.

Per scelte stilistiche siete liberissimi di adoperare esclusivamente la narrazione in senso stretto o frastornare il lettore con dialoghi a tutta pagina e “a tutto libro”, ma narrazione e dialogo devono essere bilanciati se vogliamo tenere il lettore avvinto alla storia.

Come può uno scrittore riconoscere i momenti giusti per inserire i dialoghi?

Dunque, il dialogo attira su di sé l'attenzione del lettore per cui, se lo si usa, occorre che la scena sia significativa per lo sviluppo della trama e dei personaggi.
Un dialogo di sette pagine sulle pratiche evase in ufficio, quindi, non è esattamente la giusta mossa da fare per uno scrittore che si rispetti!
Non aggiunge nulla né alla trama né ai personaggi.
È perfettamente inutile, totalmente privo di significato.
L'effetto cha avrà sul lettore sarà uno solo (e al cubo): noia, noia, noia.

Es.
- Stamattina mi sono alzato, ho preso il caffè e poi ho fatto la doccia con l'acqua calda. Il bagnoschiuma che ho usato è quello al sandalo che ho preso al supermercato.
- Ha una buona profumazione?
- Sì, mi piace moltissimo. Tu che bagnoschiuma hai usato stamattina?
- Alla magnolia.

- Ti piace?
- Così così... è meglio la schiuma da barba alla magnolia.
- In gel o spuma?

Questo dialogo potrebbe andare avanti ad oltranza ma, anche dopo queste poche battute, sarà già un miracolo se il manoscritto non sia stato ancora incenerito dal malcapitato lettore di turno.
IL DIALOGO DEVE AVERE UN SENSO, DEVE STIGMATIZZARE UN MOMENTO, DEVE PORTARE AVANTI LA TRAMA, DEVE SVELARE I PERSONAGGI E LE RELAZIONI CHE INTERCORRONO FRA LORO.


Dialoghi finti
Ammesso che non abbiate scelto la clausura come stile di vita, ogni giorno vi trovate a conversare con chiunque su qualunque argomento, perciò dovrebbe essere semplice creare dei dialoghi.
Purtroppo, per quanto possa sembrare impossibile, scrivere dialoghi verosimili ed efficaci è un'impresa alquanto ardua.
Chi si è già cimentato nella stesura di una storia sa perfettamente quanto i dialoghi, per svariati motivi, possano risultare “stonati”.
L'inesperienza, la superficialità, la scarsa osservazione, il mancato studio del personaggio possono dar vita a due grossissimi inconvenienti:
1) l'appiattimento del linguaggio dei personaggi
2) l'incoerenza del dialogo per sovraffollamento d'informazioni.

Mi spiego meglio.

1) Prestate attenzione alle parole del vostro collega di lavoro. Se lo farete vi renderete subito conto di quanto il suo modo di parlare differisca dal vostro. Ognuno di noi ha un preciso intercalare -fateci caso- dovuto ad appartenenze regionali o a scelte inconsce del tutto personali.
Una mia amica siciliana infarcisce qualunque discorso di "possibilmente", un amico bergamasco di "pota" e amici della provincia di Parma, per dissentire da qualcosa, buttano là un bel "secon' tì!".
Gli adolescenti adottano ancora i cari vecchi "cioè" e "niente" di imperitura memoria e, per quanto mi riguarda, uso con frequenza sconcertante l'avverbio praticamente, ma sto lavorando per confinarlo definitivamente nel “limbo delle parole inutili”.
Quando pensate ai dialoghi del vostro personaggio, perciò, non preoccupatevi esclusivamente dei contenuti e dell'incastro ideale nella narrazione. Lavorate anche sulla forma linguistica da adottare per veicolare le informazioni.

Ricordate: il linguaggio di un personaggio è strettamente correlato alla sua personalità, educazione, istruzione, provenienza territoriale.

2) L'altro errore frequente per un neofita della scrittura è quello di voler dire tutto e subito di un personaggio.
Un romanzo non è una gara dei 100 metri, ma una maratona che punta dritta al traguardo con “rimonte” improvvise.

Es.
- Ciao Filippo, com'è andata in ufficio? Il tuo capo Stefano ti ha dato delle rogne, visto che è così nervoso per il tradimento di sua moglie?
- No, lui no, Marcella. In compenso il mio collega Giovanni mi ha sfinito all'inverosimile con i suoi problemi d'ernia. A te com'è andata la giornata qui a casa? Nostro figlio Marco si è preparato bene per il compito in classe di questa mattina?

Questo dialogo è a dir poco penoso. Di solito quando due coniugi si rivedono a distanza di poche ore, è alquanto improbabile che si chiamino per nome o che rimarchino informazioni note ad entrambi.
Come ho avuto già modo di accennare precedentemente, centellinate le informazioni e lasciate che i silenzi, i gesti, le azioni diano le informazioni di cui il lettore ha bisogno.
Vediamo come possiamo rendere accettabile il dialogo precedente:

Es.
- Ciao.
Filippo si sfilò il cappotto e lo lanciò sul divano.
- Non mi dire che hai litigato col tuo capo!
- Macché... è Giovanni! M'ha proprio scassato, non ne posso più!
- Ce l'ha ancora con l'ernia?
- Appunto! L'ernia, sempre l'ernia: non può fare sforzi. E io devo lavorare al posto suo! Lasciamo stare... Tu che hai fatto? ...Marco?
Marcella continuò a lavare l'insalata, poi aggiunse:
- Se continua così lo bocciano.
- Non era oggi il compito in classe?
- Eh! ...Speriamo bene.

In questo esempio il dialogo, le azioni e il silenzio di lei alla domanda "...tu che hai fatto?" rivelano, con brevi tratti, non soltanto le personalità dei personaggi, la figura del collega e il figlio della coppia, ma anche le dinamiche familiari e lavorative.


Aderenza alla realtà o linguaggio forbito?
Nei secoli passati il linguaggio della narrativa era aulico – pensate a Cime Temepestose di Emily Brönte, Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, I dolori del giovane Werther di J.W. Goethe - poi la narrativa si è avvicinata alla realtà, al linguaggio del quotidiano, agli “slang” - La ragazza di Bube di Carlo Cassola, Il giovane Holden di J.D. Salinger, Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia, ecc. - e oggi nessun editore pubblicherebbe più un romanzo dai dialoghi classicheggianti, perché risulterebbero del tutto innaturali.
Attenzione, però!
Lo scrittore, per aderire al linguaggio del quotidiano, può lasciare i cliché, le frasi trite e i commenti scontati in bocca ai personaggi ma deve, nel modo più assoluto, sfuggire la banalità e la sciatteria linguistica nella narrazione.

Una cosa però occorre precisare: se è vero che la narrativa di oggi richiede dialoghi attinti dalla realtà, è altrettanto vero che non possiamo essere del tutto realistici. Pensate a una conversazione del tipo:

- Mi hai chiamato tu?
- Che?
- Mi hai chiamato tu al cell ?
- No, perché?
- Ho trovato una chiamata persa.
- Col mio numero?
- No, era riservato.
- Ah...
- Sennò non te lo chiedevo! ...Chissà chi era. Secondo te?
- Boh!
- Mah...

Come potete notare, questo dialogo è troppo aderente alla realtà.
Dobbiamo raggiungere un compromesso: evitare i passaggi privi di significato e dare maggiori informazioni.
In ogni caso, provate ad ascoltare chi vi circonda e prendete nota delle conversazioni. Vi aiuterà moltissimo quando dovrete cimentarvi con dei dialoghi.

Il sottotesto
Proprio come accade nella realtà, anche nei romanzi i dialoghi non sono l'espressione autentica dei nostri pensieri.
Spesso nascondono insulti, approcci di seduzione, velate macchinazioni. Ciò costituisce il sottotesto.

Es.
Le foglie frusciavano appena nell'afa del tardo pomeriggio. Si lasciò cadere sull'erba brulicante di formiche, e aspettò di vederla risalire la collina. La gonna alzata su un fianco e i piedi nudi.
- Che fai qui?
Giacomo si voltò di scatto.
- La collina è di tutti. - rispose.
- La collina, sì - rispose Federico.
- Mi fai compagnia?
- Con piacere. Da qui c'è una bella visuale. Se passa Maria la vedrò di sicuro. Stasera cena a casa mia.

Riuscite a percepire il sottotesto?
La tensione fra i due è palpabile, ma entrambi si sforzano di tenere a bada la gelosia e la rabbia. Giacomo desidera Maria, ma Maria è la ragazza di Federico che non può essere condivisa... la collina, sì. Federico non attacca direttamente Giacomo ma, con indifferenza “marca il territorio”, aggiungendo ciò che Giacomo non ha richiesto di sapere... stasera Maria cena a casa sua.
Uno scrittore abile deve saper utilizzare questo strumento per accentuare la tensione e, conseguentemente, l'attenzione del lettore. Lo scopo è sempre quello.

ESERCIZIO 9
Immagina una madre e sua figlia. Caratterizza i personaggi.
La madre sospetta che sua figlia sia incinta.
Crea una conversazione incentrata su argomenti futili ma che faccia trasparire il sottotesto: la madre non dovrà mai parlare direttamente o indirettamente delle gravidanze inaspettate, e i pensieri dei personaggi non dovranno essere in alcun modo palesati al lettore.

Prima di darvi appuntamento all'ottava lezione, due ultime raccomandazioni.
Primo, non confondete il vostro romanzo per un pulpito da prediche domenicali o comizi elettorali, soprattutto se il vostro personaggio è intento a svolgere un'attività più divertente. Chiaramente non vi è preclusa la possibilità di dire la vostra: filtrate le vostre opinioni attraverso i personaggi, nei tempi e nei modi più consoni.
Secondo, non abusate delle parolacce. Potreste risultare sgraziati e beceri.
E ora al lavoro: scrivete!

giovedì 16 luglio 2009

Corso di Scrittura Creativa: SESTA LEZIONE

Il punto di vista: la narrazione in prima e terza persona

Oggi affronteremo la questione del PDV, ossia punto di vista.
Scegliere la prima, la terza o, in casi più unici che rari, la seconda persona per narrare la nostra storia è una decisione tutt'altro che irrilevante. Al contrario, tale scelta influenzerà in modo decisivo la percezione del personaggio da parte dei lettori.

Prima persona
Un IO racconta la sua vicenda personale dando al lettore una visione faziosa degli avvenimenti.
È un PDV molto “gettonato” sia da chi scrive sia da chi legge, forse perché permette un'identificazione totale e immediata con il protagonista.
Non ha avuto molta fortuna nei romanzi ottocenteschi - troppo influenzati dallo spirito di indagine storica, politica e filosofica della realtà sociale tipica del Settecento - che vedevano le vicende umane stritolate nella morsa della storia.
Ha, invece, assunto un posto di primo piano nella narrativa del Novecento.
Il motivo è molto semplice: la crisi d'identità che ha investito il genere umano (e che oggi regna sovrana, lasciatemelo dire!).
Gli uomini, e i personaggi che popolano i romanzi del Novecento, non seguono più logiche culturali standardizzate. Non avendo più punti fermi cui aggrapparsi, agiscono seguendo il loro inconscio.
Il mondo è visto, finalmente o per sfortuna, in soggettiva.

Es. Mia nonna era una tipa in gamba, una forza della natura! Noi la chiamavamo “Tornado”. Mi piaceva guardarla mentre guidava il trattore o impastava la farina per farci le frittelle.

Terza persona
Un narratore fornisce al lettore una visione oggettiva della storia.
Conduce il lettore dove vuole, quando vuole e come vuole. Gli rivela segreti, pensieri, azioni che tiene ben nascosti ai personaggi della storia. Crea intrighi e colpi di scena.
Sa tutto, vede tutto ed è dappertutto.

Es. Il barbone dal paltò a quadri si affrettò a raggiungere la fermata numero 8. Doveva sbrigarsi se voleva cavare un pasto completo al centro d'accoglienza. La contessa, al secondo piano della sua palazzina d'epoca, pensò che quell'individuo avrebbe fatto bene ad uscire solo di notte per non guastare il panorama.

Discorso libero indiretto
È comunque una narrazione in terza persona ma, badate bene, in una finta terza persona, vale a dire una terza persona che agisce come una prima persona. Il narratore, infatti, che conosce in maniera approfondita il protagonista sia sociologicamente che psicologicamente, si appropria della lingua del personaggio e rinuncia all'obiettività. Di conseguenza potrà svelare al lettore solo gli avvenimenti che vive direttamente il personaggio che ha scelto di rappresentare. È un PDV che presuppone una certa maestria dello scrittore perché dà vita ad un narratore che sembra oggettivo, ma che in realtà non lo è. Le sue divagazioni “oggettive” conducono il lettore là dove lo scrittore vuole.

Es. La vide attraversare la stanza con la falcata di un puledro imbizzarrito. I ricci le esplodevano dalla testa come petardi nel giorno di San Nicola. Sparì dietro la porta a vetri e, da quel momento, anche dalla sua vita. Provò a seguirla con lo sguardo un'ultima volta dalla finestra ma la voce della sua “adorata mammina”, come diceva sempre lei, lo riportò alla realtà. Le nuvole si addensarono sulla campagna. Tra poco avrebbe piovuto. E si accasciò sul divano.


Una raccomandazione: quando ci si butta a capofitto nella stesura di un romanzo può capitare – e, vi posso assicurare, molto più frequentemente di quanto immaginiate - di smarrire il PDV scelto, per assumerne un altro.
Immaginate un romanzo scritto in discorso libero indiretto - finta terza persona - nel quale il narratore dimentica di assumere la “voce” di un personaggio e descrive al lettore fatti di cui non dovrebbe essere a conoscenza.
Sarebbe davvero inappropriato, non credete? E che danni per la trama del vostro romanzo!
È bene, quindi, che facciate molta attenzione e che rivediate la prima stesura molto accuratamente.
I refusi, gli svarioni e gli “orrori” temporali sono sempre dietro l'angolo!


ESERCIZIO 8
Se non hai avuto ancora modo di leggerli, prendi I Malavoglia di Giovanni Verga, I miserabili di Victor Hugo e La coscienza di Zeno di Italo Svevo, e individua i PDV scelti per ognuno di essi.

Buona lettura!

mercoledì 15 luglio 2009

Ritmi e prose sincopate

Ieri, approfittando della serata mite, rinfrescata appena da folate di vento improvvise, mi sono spinta al di là della brughiera, fino a raggiungere il gazebo di Mr. Jazz (noi lo chiamiamo così). Il gazebo è all’interno del giardino, sul retro del suo cottage.
Ho preso posto nell’ultima fila di sedie disposte a semicerchio, poi Mr. Jazz mi è venuto incontro e mi ha accompagnata in prima fila, affinché potessi gustare pienamente le melodie sincopate non previste per la serata. Sì, avete letto bene, non previste, perché nel jazz (spesso) non si segue una scaletta: i musicisti si consultano, si lasciano andare alle sensazioni del momento, improvvisano variazioni, scelgono un autore testando gli umori degli ascoltatori.
Alcuni miei avventori li ho ritrovati lì, tra il pubblico che arrivava in gruppi sempre più folti.
Il brusio si è spento quando il sassofonista del quartetto ha invaso la brughiera con le note di “Summertime” di George Gershwin, poi è stata tutta un’esplosione di free jazz, di swing e di fusion.

Mentre ascoltavo “Fly me to the moon” di Bart Howard, resa celeberrima dall’immenso Frank Sinatra ho pensato quanto fossi fortunata nell’essere lì e in quell’istante in quel minuscolo spazio dell’universo e che la felicità non ha davvero a che fare con il possedere le cose, ma nel godere della geniale creatività di alcuni uomini speciali.

Ci siamo salutati con “Cantaloupe Island” di Herbie Hancock, e io avrei voluto che quella serata non avesse mai fine.
Complimentandomi con i musicisti al termine della session, li ho invitati alla mia locanda per un’altra serata di musica… e parole. Sì, perché per me ogni melodia ha un corrispettivo letterario: il free jazz mi richiama alla mente Salinger e Kerouac per le loro prose smozzicate, imprevedibili, irruenti, nuove e spiazzanti, proprio come il jazz.
I linguaggi cambiano ma il “sentire” è identico.

Guidai io attraverso la Carolina del Sud e oltre Macon, in Georgia, mentre Dean, Marylou e Ed dormivano. Tutto solo nella notte mi lasciai andare ai miei pensieri e mantenni la macchina sulla linea bianca nella benedetta strada. Che facevo? Dove andavo? L’avrei scoperto presto. Dopo Macon mi sentii stanco come un cane e svegliai Dean perché riprendesse il volante.
Uscimmo dalla macchina per prendere un po’ d’aria e improvvisamente tutti e due ci bloccammo per la gioia scoprendo che tutto attorno a noi nel buio c’era fragrante erba verde e odore di letame fresco e acque calde. «Siamo nel Sud! Ci siamo lasciati dietro l’inverno!»
…”
(tratto da "Sulla strada" di Jack Kerouac).

giovedì 9 luglio 2009

Corso di Scrittura Creativa: QUINTA LEZIONE

I personaggi: come renderli veri e coerenti

Come dice giustamente l'autrice Brandi Reissenweber, “I bravi scrittori rendono i loro personaggi persone reali, fisiche, viventi, pensanti. Più si riesce a creare l'illusione che i personaggi siano persone vere, più il lettore verrà catturato dalla storia e lascerà che il mondo fittizio sostituisca quello reale.”
Creare personaggi verosimili richiede una certa abilità, ma esistono tecniche che possono aiutarci.
Per prima cosa occorre che il personaggio sia motivato ad agire da un desiderio indomito.
Il lettore ne sarà entusiasta e non smetterà di seguire il suo beniamino.
Se ci pensate bene, anche nella vita reale troviamo estremamente noiosi quegli individui che passano tutto il loro tempo su una poltrona o si preoccupano solo di mangiare e vedere la partita. Il discorso cambia radicalmente quando abbiamo a che fare, invece, con persone curiose, dai mille hobby, appassionate di viaggi e culture lontane.
Se pensate di poter “catturare” un lettore buttandovi a capofitto in un florilegio di descrizioni sull'ambiente che circonda il protagonista, avrete perso molto del vostro tempo. Al lettore interessa che i personaggi e l'ambiente vengano sottolineati con pochi ma sapienti tocchi e che il protagonista agisca spinto da forti motivazioni.
Se i suoi desideri saranno banali, o molto generici, il lettore si annoierà di certo!

ESERCIZIO 6
Pensa a un personaggio che abbia delle caratteristiche non banali e un desiderio forte e concreto.
Es. Un clown ha problemi con la compagnia circense e sogna di esibirsi come attore comico alla trasmissione televisiva “Zelig”.
Butta giù un abbozzo di storia. La riprenderai più avanti.

L'errore più comune per uno scrittore in erba è creare non dei personaggi verosimili ma degli stereotipi, o tipi ben incasellati dalla logica della normalità.
Anche qui deve venirci incontro lo spirito d'osservazione. Se pensate anche solo a voi stessi o al vostro più caro amico, avrete un esempio della complessità umana. Ognuno di noi ha dentro di sé elementi contrastanti e fortemente caratterizzanti.
Non esistono persone totalmente buone o totalmente malvage. Attingendo dalla storia, sembra che Hitler adorasse i suoi cani, possiamo quindi supporre che li coccolasse come qualunque altro cinofilo.
Il dittatore, dunque, nonostante le aberrazioni ideologiche estremiste, custodiva un lato “tenero”, non passava ogni istante della sua vita a digrignare i denti e ad impartire ordini di morte!
Per questo motivo, anche le nostre storie devono avere personaggi complessi, con difetti e virtù.
E spesso sono proprio i difetti a farci amare l'eroe di una storia!

Es. Holden Caulfield, protagonista de “Il giovane Holden” è uno scapestrato, un ribelle, un attaccabrighe per certi versi, ma ha un lato fragile - cerca una comprensione che non trova - e un lato tenero - adora la sua sorellina minore.

ESERCIZIO 7
Prendi il personaggio dell'esercizio precedente e assegnagli qualità positive e negative.
Evita lo stereotipo!

Altro elemento fondamentale del personaggio è la sua coerenza.
Non possiamo descrivere il nostro eroe per tutto il romanzo come un santo dedito totalmente al prossimo e poi, per creare l'effetto-sorpresa, farlo diventare un assassino nelle ultime battute. Se vogliamo che ciò accada, dobbiamo lasciare degli indizi lungo tutto il romanzo che possano far presagire un lato oscuro del suo carattere.

Come abbiamo potuto appurare nell'analisi de Il viaggio dell'eroe, un personaggio segue un percorso ben preciso all'interno del racconto: deve raggiungere un obiettivo che lo porterà al cambiamento. A volte i personaggi non cambiano del tutto e a volte dimenticano quello che hanno imparato, ma ciò che conta è che questo processo si inneschi.
Un personaggio che, dall'inizio alla fine, resta uguale a sé stesso è poco attraente.
Pensate di conoscere bene i vostri personaggi?
Molti scrittori ne hanno l'assoluta certezza ma, proseguendo nella narrazione, finiscono per dimenticarsi delle loro creature.
Che fare, allora?
Una soluzione ci sarebbe.
Prendetevi del tempo per conoscerli.
Dovete immaginarli come individui in carne e ossa, come vostri amici - o nemici - di cui conoscete il lato più recondito.
Dovete sapere esattamente come vestono, come parlano, come si muovono, quali sono i loro tic, gli interessi, le cose che detestano, le donne che frequentano, il loro vissuto, i rapporti con la famiglia, la loro visione del mondo, i beni che possiedono, cosa mangiano e perfino cosa buttano nella spazzatura!
Un metodo molto efficace -ve lo consiglio vivamente- consiste nel ritagliare dai giornali l'immagine di un individuo che si avvicina alla fisicità del vostro personaggio, compilare un elenco dettagliato delle sue caratteristiche e attaccare il tutto su una parete a portata di “vista”.
Il supporto visivo vi aiuterà a non deviare inconsapevolmente dal percorso stabilito.

Domande per conoscere meglio il vostro personaggio

Come si chiama? Ha un soprannome?
Com'è fisicamente? Porta degli orecchini? Tatuaggi? Piercing?
Che andatura ha? Ha qualche tic?
Parla con un accento dialettale? Ha qualche intercalare curioso? Dice parolacce?
Parla in modo forbito?
Come si veste? Ha un indumento che ama particolarmente e da cui non si separerebbe mai?
In quale città vive? Com'è la sua casa? La casa è tappezzata di poster, foto o quadri?
L'abitazione necessita di riparazioni?
Cura la sua igiene personale? Che prodotti usa: ipoallergenici, costosi, scadenti? Si rade tutti i giorni o di tanto in tanto?
Si spazzola le scarpe prima di uscire di casa?
Qual è il suo titolo di studio?
Che lavoro fa? Il suo stipendio gli permette una vita dignitosa o lo costringe a lavorare pure nei fine settimana? Vive di rendita?
Ha degli interessi?
È uno sportivo? Che sport pratica?
Ha avuto delle malattie in passato? Gravi? Ha avuto qualche incidente sul lavoro o mentre praticava il suo sport preferito? Attualmente ha qualche disturbo fisico?
È depresso? Lo è stato in passato? Soffre di turbe mentali?
Guarda la TV? Quali sono i suoi programmi preferiti?
Che genere di film predilige? Va spesso al cinema o preferisce scaricarli da internet?
Ama la musica? Di quale genere? Va ai concerti?
Ama la lettura? Preferisce i fumetti, i romanzi o i saggi?
Viaggia? C'è un posto che vorrebbe assolutamente visitare?
Perché non viaggia? Mancanza di soldi, fobia dell'aereo, paura del terrorismo?
È innamorato? È single? Sposato? Convive?
Ha molti o pochi amici? Che valore dà all'amicizia? È un buon amico?
Quali sono i posti che frequenta?
Che abitudini alimentari ha? Sa cucinare?
Ha la patente? Guida bene o male?
È introverso o estroverso? È divertente? Ama l'ordine o il disordine?
Si lascia andare ai ricordi? Quale odore associa alla sua infanzia, alla sua adolescenza, ai suoigenitori, alla sua ragazza?
Quali sono le sue paure?
Ha dei segreti da nascondere?

Questa lista è solo una breve guida per approfondire la personalità del vostro personaggio. Ci possono essere ulteriori domande come: ha l'abitudine di leggere in bagno? Si addormenta in posizione fetale? Lascia marcire i cibi in frigorifero?
Insomma, dovete sapere tutto, ma proprio tutto, della vostra “creatura”.
Ovviamente, non tutte le caratteristiche del personaggio finiranno nella stesura del libro, ma serviranno a noi per renderlo credibile.

Per i personaggi secondari non è affatto necessario conoscere i dettagli del loro vissuto. Come dice Brandi Reissenweber: “Il trucco da usare con i personaggi secondari è di trovare pochi dettagli caratterizzanti che catturino la loro essenza”.

Una volta impostati i personaggi, il bravo scrittore li svela a poco a poco. Anche nella realtà, infatti, non possiamo cogliere la profondità di un individuo all'istante.
A tal proposito, prendete questi esempi e fingete che facciano parte di un romanzo che state leggendo. Quale versione preferite?

Es.
1) Sua cugina Paola era un'indecisa cronica e una paranoica mai vista. Luca la detestava ogni giorno di più.

Es.
2) - Ho due biglietti per i Red Hot Chili Peppers? Ci vieni?- disse Luca
- Sì... no... cioè, mi piacerebbe ma ... - rispose sua cugina Paola.
- Ma?
- Non so cosa mettermi.
- Non sai cosa metterti per un concerto? Non è mica una “prima” a teatro!
... E se tutta quella musica ad alto volume mi provocasse una delle mie terribili emicranie? ...E poi, metti che incontro Giovanni?
- Il tuo ex? A seicento chilometri di distanza, in mezzo a cinquantamila persone?
- Eh, proprio lui! E magari ti scambia per il mio nuovo ragazzo e, se ha voglia di ritornare insieme a me, ci ripensa!
Luca la fissò, poi si voltò di scatto e, borbottando fra sé - Che idiota!- uscì dalla stanza sbattendo la porta.

La seconda versione è sicuramente più completa. Svela non soltanto il lato indeciso e paranoico della ragazza e l'antipatia di Luca per sua cugina, ma ci offre delle informazioni ulteriori: Paola soffre di emicrania ed è stata lasciata dal ragazzo di cui è ancora innamorata.

Questo cosa ci fa capire?
Che le azioni dicono più delle parole.
E che i dialoghi possono essere illuminanti per scoprire un personaggio.

Altro elemento fondamentale per mettere a fuoco un personaggio è la descrizione dell'aspetto esteriore.
L'abbigliamento, la mimica facciale, i gesti involontari danno al lettore precise indicazioni circa la personalità del protagonista o dei personaggi minori.

Palesare i pensieri di un personaggio è l'ultimo strumento che possiede lo scrittore per svelare la sua “creatura”.

Es. Sono l'ultimo degli idealisti. Sono certo che riuscirò a far abolire la pena di morte in ogni stato americano. Manderò una petizione ogni quindici giorni e organizzerò un convegno al mese. Se sarà necessario mi attaccherò ai cancelli della Casa Bianca. E alla fine mi ascolteranno.

Ricordate, dunque:
AZIONI
DIALOGHI
ASPETTO
PENSIERI
combinati fra loro danno un'idea molto precisa del nostro eroe.

Infine, anche se può sembrare un dettaglio trascurabile, il nome deve adattarsi al personaggio. Felice Sciosciammocca e Gian Giacomo Maria Brambilla delineano d'impatto personalità, estrazioni sociali e appartenenze geografiche lontanissime fra loro.

E voi che nome avete dato al vostro personaggio? Pensateci bene.
Vi aspetto tutti alla sesta lezione!

domenica 5 luglio 2009

The Road Not Taken / La strada che non presi

Per molti, troppi, anni ho vissuto nel rimpianto, nella rabbia o nella pura curiosità chiedendomi che cosa sarebbe stato di me se fossi nata in un'altra famiglia, se avessi frequentato altre scuole, intrapreso quel viaggio tanto desiderato o scelto un altro amore.
Ora non più. Non più da alcuni anni, perché ho capito che, semplicemente, era così che doveva andare, che non era il momento giusto, non era la persona giusta, ma soprattutto perché il tempo restituisce, in un modo o nell'altro, tutto quello che ci si è lasciato sfuggire tra le dita.
Perciò, non rimpiango più la fanciullezza perfetta o la giovinezza spensierata che avrei voluto.
Attraverso quella strada meno battuta, faticosa, solitaria ho raggiunto quella pienezza e serenità che, ne sono certa, mi sarebbero state precluse percorrendo altri sentieri.
Attraverso quella strada meno battuta ho raggiunto proprio ciò che ho sempre desiderato.
E alla fine ho compreso, anche se è stata dura, d'aver preso la strada giusta.

The Road Not Taken

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black.
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.

La strada che non presi

Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei

Poi presi l'altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata;
Sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili

ed entrambe quella mattina erano lì uguali
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un'altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io
io presi la meno battuta
ed è per questo che sono diverso.

sabato 4 luglio 2009

Corso di Scrittura Creativa: QUARTA LEZIONE

Come strutturare la trama: Il Viaggio dell'Eroe – Parte seconda-

Tutto bene? Siete concentrati, motivati, impazienti? Bravi!
Procediamo pure ad analizzare i cinque punti del Secondo Atto.


SECONDO ATTO

Prove, alleati e nemici
Il nostro protagonista è ora nel Mondo Stra-Ordinario. Imbattendosi in nuove sfide, è naturale che stringa nuove amicizie, nuove allenze e si confronti con gli inevitabili nemici.
In questa fase della storia, lo scrittore mostra il protagonista in ufficio, in un bar, in una discoteca, in una palestra, per strada -ogni luogo può andar bene, non ci sono limiti alla fantasia- per farlo interagire con altri individui che lo sosterranno o lo ostacoleranno. È un'ottima trovata per svelare maggiormente l'anima del protagonista e le caratteristiche fisiche e morali dell'antagonista e dei personaggi secondari.

Avvicinamento alla Caverna più Recondita
Non lasciatevi spaventare della definizione. La Caverna non è altro che il luogo duro o pericoloso che il protagonista deve raggiungere per mettere a punto il suo piano.
Di solito, in questa fase confluiscono i preparativi dell'eroe per la “grande battaglia”.

La Prova Centrale
Il protagonista affronta il primo vero pericolo, il primo grande ostacolo che potrebbe annientarlo fisicamente, moralmente o entrambe le cose.
Ricordate: ogni racconto necessita di un momento disperato nel quale l'eroe perde -momentaneamente- la sua battaglia. È un espediente necessario affinché il lettore –completamente identificato con il protagonista e il suo destino- resti avvinto alla storia.
Tornando agli esempi della lezione precedente, il ragazzo obeso, malgrado un iniziale, incoraggiante dimagrimento, cede miseramente alla torta di compleanno di sua sorella, mentre l'investigatore compromette il caso innamorandosi nuovamente della ex moglie.
Ma il protagonista non si abbatte. Combatte e ne esce vittorioso -almeno momentaneamente-.

La Ricompensa
Avendo superato la Prova, l'eroe ha diritto alla Ricompensa. Che può essere reale -una spada magica, una somma in denaro, una casa, la macchina dei sogni, ecc.- o morale – una maggiore autostima, l'amore della donna a lungo desiderata, il matrimonio, la riconciliazione con i genitori, un amico, il rispetto della società e così via.


La Via del Ritorno
Potrebbe rappresentare la conclusione della storia o un ulteriore momento cruciale per il protagonista.
Nel primo caso mettete pure la parola “fine” al vostro racconto e godetevi la vostra prima stesura, nel secondo armatevi di fantasia –vi state avviando verso il Terzo Atto- e braccate il vostro eroe con un ostacolo che rischia di metterlo definitivamente e irrimediabilmente al tappeto.
Il lettore ve ne sarà grato...l'eroe un po' meno.

TERZO ATTO

Resurrezione
Il protagonista si trova ancora una volta a dover fronteggiare la morte -nei casi più gravi- o la disfatta.
La possiamo definire “la fase dell'esame finale” per l'eroe, che dimostrerà –o meno- di aver imparato qualcosa dalle battaglie della Prova Centrale.

Ritorno con l'Elisir
L'elisir è un “tesoro” conquistato attraverso una dura ricerca.
Il protagonista riuscirà ad appropriarsi di alcune certezze che prima del viaggio non aveva: una nuova consapevolezza di sé, la saggezza, la forza, la libertà ecc.

Quindi per riepilogare, Vogler scrive:
1) Gli eroi vengono presentati all'interno del loro MONDO ORDINARIO dove
2) ricevono il RICHIAMO ALL'AVVENTURA.
3) Da principio sono RILUTTANTI e RIFIUTANO LA CHIAMATA, ma
4) vengono incoraggiati da un MENTORE a
5) VARCARE LA PRIMA SOGLIA e a penetrare nel Mondo Stra-Ordinario dove
6) si imbattono in PROVE, ALLEATI E ANTAGONISTI.
7) si AVVICINANO ALLA CAVERNA PIÙ RECONDITA varcando una seconda soglia dove
8) sostengono la PROVA CENTRALE.
9) Si appropriano della loro RICOMPENSA e
10) vengono inseguiti lungo la VIA DEL RITORNO verso il Mondo Ordinario.
11) Varcano la terza soglia e vivono l'esperienza della RESURREZIONE, in seguito alla quale vengono trasformati.
12) RITORNANO CON L'ELISIR: una dote o un tesoro portatori di benefici per il Mondo Ordinario”.

Ora che abbiamo analizzato lo schema è opportuno chiarire che “Il Viaggio dell'Eroe” è solo una linea-guida che lo scrittore può decidere di seguire per rendere avvincente la propria storia.
Inoltre le fasi analizzate possono imboccare un percorso alternativo, mescolarsi fra loro senza che il racconto possa perdere d'efficacia.
Insomma, non dobbiamo seguirlo pedissequamemente come fosse un dogma! Dobbiamo considerarlo solo uno strumento utilissimo per superare l'angoscia della “pagina bianca”, un incentivo a trovare nuove e stimolanti soluzioni creative.
Per quanto mi riguarda “Il Viaggio dell'Eroe” ha rappresentato una svolta decisiva per il mio lavoro. Mettendolo in atto ho accresciuto una nuova consapevolezza delle mie capacità di scrittrice.
E anche se il modello di Vogler sembrerebbe più adatto per la stesura delle sceneggiature cinematografiche, posso assicurarvi che vi fornirà un valido aiuto anche per la narrativa.

ESERCIZIO 5
Un'ora al giorno prosegui la stesura della tua storia, sviluppando il secondo e l'eventuale terzo atto.
Tieni ben presente che le regole, prima di essere stravolte, vanno imparate, metabolizzate e messe in pratica.
Solo quando avrai raggiunto l'abilità e l'esperienza necessarie per costruire una storia drammaturgicamente perfetta potrai fare a meno del modello di Vogler.

Prima di darvi appuntamento alla quinta lezione, voglio precisare che il modello di Vogler non deve concludersi necessariamente con il lieto fine della Ricompensa o dell'Elisir.
L'eroe potrebbe anche morire, perdere l'amore o non imparare nessuna lezione dagli eventi che gli sono capitati. L'eroe non cresce, non matura.
Ritorna sconfitto nel suo Mondo Ordinario.
Magari i fanatici della Commedia ne resteranno delusi, ma la vostra storia risulterà più “realistica”.

Scrivete, scrivete, scrivete!