Ero assorta nella contemplazione dell'alba, rosa dalle venature fucsia questa mattina, e ho pensato a quanti la stavano contemplando nello stesso istante, vicini o lontani da me.
Che emozioni stavano provando o quale assenza albergava nella loro anima. Con quali e quante parole avrebbero descritto quel momento.
Da lì, mi sono ritrovata a pensare al talento artistico, quell'afflato prodigioso che trasfigura le cose cogliendone l'essenza.
Quanto ce n'è in me? Davvero se ne può possedere in percentuale oppure è un dono che si ha dalla nascita o non lo si avrà mai?
Io non posso giudicarmi e in verità NON SO giudicarmi (se non per demolirmi) ma quando leggo, osservo, ascolto l'opera di qualcuno e un'onda di meraviglia, palpito, riconoscenza mi si para dinanzi e mi travolge, allora capisco di averlo trovato.
Un avventore mi ha fatto leggere una sua sceneggiatura e ho capito senza dubbio alcuno che il suo è un talento vero, di quelli su cui è inutile discettare. Un talento oggettivo.
Le sue parole... melodia, i suoi pensieri là dove molti di noi non arriveranno mai, la costruzione narrativa un avvincente "adagio" che continua a risuonare anche dopo aver messo giù la bacchetta.
Eppure lui non è là dove dovrebbe essere.
Le parole, le immagini sul grande schermo servono solo per stupire, trasgredire, annacquare cervelli già sfatti dal web-trash.
Dicono che c'è ancora il cinema che conta... sì, ma i soldi un tanto al biglietto.