mercoledì 23 dicembre 2009

Tanti auguri con... Bonton


BonTon ha rubato il vestito a Babbo Natale per augurarvi Buon Natale e buone feste anche da parte mia.
E allora, miei cari avventori, che siano davvero feste meravigliose per tutti e...
mi raccomando, siate buoni!
;-D

giovedì 17 dicembre 2009

Il segreto di Isabel

Ed eccolo il mio primo romanzo pubblicato dalla Raffaello Editrice, vincitore del Premio Montessori per l'anno 2009, nella sezione per ragazzi dagli 11 ai 14 anni.
Non posso celare la mia emozione anche perché non sarebbe umano non provarla!
Non sapevo neppure come sarebbe stata la copertina ed è stata una bella scoperta.
Il libro sarà nelle librerie (potete consultare l'elenco di quelle a voi più vicine sul sito della Raffaello) a gennaio, dopo le vacanze natalizie.
Spero che vogliate leggerlo e darmi un vostro parere.

Scusatemi se non aggiungo altro... ma oggi il mio sogno di bambina si è realizzato.

Regalatemi libri per Natale, please!

Sì, libri, libri, libri per costruirmi dei mondi paralleli tutt'intorno.
Ma non libri dei soliti noti o dei personaggi televisivi, ma storie interessanti, magari storie di donne o di trame che abbiano come sfondo i paesi nordici (il freddo mi aiuterà a immedesimarmi con più verosimiglianza nei personaggi).

Tanto poi sapete già che li metterò a disposizione di tutti quelli che verranno a scaldarsi alla locanda, per scambiarci pareri sulle impressioni suscitate dagli intrecci, dalla prosa, dalle descrizioni paesaggistiche o ancora dalla caratterizzazione dei personaggi.
...Io l'ho buttata lì. :-)

martedì 15 dicembre 2009

Ciambelline e poesie

Miei cari avventori, qui si rischia il congelamento anche per brevi tragitti.
Non attardatevi lungo la via, entrate nella locanda e scaldatevi con del punch al rum o al mandarino. Per gli irriducibili della cioccolata potete trovarla in tutte le salse.
Il fuoco nel camino scoppietta allegramente per quasi tutto il giorno e BonTon ci resta sdraiato davanti come fosse in estasi, storcendo invece il "tartufo" quando gli indico la porta per le sue uscite obbligate.
Ieri, la signora I., mi ha portato delle ciambelline con lo zucchero appena fritte... favolose, e io le ho divise con lei e gli altri avventori. Le abbiamo gustate leggendo Keats e Byron.
Cosa ci riserverà questa serata?

Vedremo... in ogni caso il cibo e l'arte sono sempre un buon modo per gustare la vita.

domenica 13 dicembre 2009

So... not lonely

Dunque, ieri sera ho lasciato la locanda per un paio d’ore e mi sono recata a teatro: c’era il concerto di Natale dei Pueri Cantores.
I cori mi hanno sempre affascinata, anche perché fino ai 18 anni facevo parte anch’io di un coro (della parrocchia, ma cercavamo di fare pezzi di un certo livello, liturgie in latino e così via).
Al mio arrivo la piazza era gremita di macchine e persone, nonostante il gelo.
Sono entrata in teatro, ho fatto il biglietto e mi sono incamminata verso il palchetto tra gli effluvi di lacche e profumi di alcune signore attempate.
Mi sono accomodata immaginando che da lì a poco avrei ascoltato melodie esclusivamente natalizie (cosa che non mi faceva esattamente tremare le vene ai polsi)… e invece, quanto mi sbagliavo!
Dopo un “Oh happy day”, è stato tutto un tripudio di “Walk of life” dei Dire Straits, “Super trouper” e “Mamma mia” degli Abba, “Everybody needs somebody” dei Blues Brothers e poi “I still haven’t found what I’m looking for”, “Stay” e “With or without you” degli U2.
Ma la canzone che mi ha mandata in delirio è stata “So lonely” dei Police.
La cosa buffa è che io non amo (diciamo pure che detesto “leggermente”) i Police, ma questa canzone è stata cantata da un ragazzino di 8 anni che incalzato dalla band alle sue spalle si è trasformato in uno Sting in erba, saltando sul palco e urlando con voce roca il ritornello “So lonely, so lonely, so lonelyyy!...”.
Un tripudio! Per poco non venivano giù i palchetti per il fervore degli astanti.
Alla fine dello spettacolo tutti abbiamo chiesto il BIS spellandoci le mani per gli applausi e urlando: - So lone-ly, So lone-ly…”. Quando il bambino è apparso per la sua seconda performance siamo scattati in piedi, cantando e battendo le mani come ragazzini!

Cosa volete che vi dica… questo è il potere della musica e dell’innocenza.

martedì 8 dicembre 2009

La figlia del sarto

Come avevo immaginato, non solo non mi ha delusa ma mi ha lasciato un senso di appagamento difficile da spiegare.
L’autrice, Lucilla Pavoni, ha raccontato aneddoti della sua vita illuminati dalla luce di una nuova consapevolezza… e io ho sorriso, pianto, provato pietà, rimpianto e alla fine ho sentito crescere in me la speranza.
Così ho voluto far mio un passo a pag 57:
Non credere a nessuno quando cominciano a dirti che hai grandi possibilità nella vita, che sei sprecato in un piccolo paese, che la tua intelligenza rischia di andare perduta. Non è vero niente. Puoi essere ciò che sei, se lo sei, in qualsiasi posto e in ogni condizione e sarà il mondo a venirti a cercare se hai qualcosa da dare e non tu a fare il giro del mondo. Questo è vero solo se hai cose vere da dare, per il resto serve girarlo mille volte e non basta.”.

E io ho delle cose vere da dare? Sarà il tempo a darmi la risposta che cerco.

sabato 5 dicembre 2009

Mi rimetto in carreggiata

Se non fosse per l’infiammazione del nervo sciatico che mi procura dolori lancinanti a entrambe le gambe e annessi lombi, avrei potuto dire di star meglio.
“E’ la vecchiaia incombente”, mi ha detto un’amica al telefono.
“Che gentile!” le ho risposto, mentre le avrei volentieri lanciato la cornetta sulla testa col teletrasporto…

Comunque sto tornando, ma non aspettatevi stuzzichini e manicaretti: non sono ancora in grado di mettermi ai fornelli.

Un abbraccio a tutti quelli che mi hanno mandato messaggi di affetto e lasciato auguri di pronta guarigione. Siete meravigliosi.

domenica 22 novembre 2009

Non voglio chiudere a tutti i costi una zip inceppata

Qualche giorno fa, mescolato alle bollette da pagare e a qualche inutile opuscolo pubblicitario, ho trovato nella casella della posta l'invito per la presentazione di un libro, che dal titolo ha subito pungolato la mia fantasia: "La figlia del sarto".
Uhmm... interessante, mi sono detta.
E così, ieri chiudo la locanda per raggiungere il luogo della presentazione, arrivando puntuale all'ora convenuta. Come sempre.
Cerco una buona postazione e, al di là dei tavoli di fronte alla platea, vedo la scrittrice: una signora dai capelli argentei, acconciati con decoro e semplicità, un filo di perle intorno al collo e un sorriso aperto e sereno come non vedevo da tempo in un essere umano.
Poi, mentre prende il via la presentazione del romanzo, scopro che la ragione di quella sua serenità così palpabile è dovuta al suo avvicinarsi alla terra, lei che la terra in fondo non l'aveva mai "toccata" davvero, perché figlia del sarto del paese.
Da pochi anni, infatti, ha cominciato una nuova vita: come contadina (e sorprendentemente come scrittrice anche) perché ha compreso che gli orpelli non servono per star bene, che si può vivere con poco, che la corsa alla felicità a tutti i costi senza mai fermarci porta solo ad inceppare irrimediabilmente le nostre vite, proprio come fa una "zip" difettosa quando ci ostiniamo a chiuderla a tutti i costi... e invece basterebbe fargli fare uno scattino all'indietro per tirarla su senza problemi.
Alla fine della serata ho preso il suo libro e mi sono complimentata con lei per la semplicità delle sue parole e del suo tono soprattutto. Lei mi ha risposto con un sorriso ancora più aperto: Non è semplice solo chi non vuol farsi capire.
Poi mi ha lasciato una dedica che ho apprezzato molto: "A Sonia, in attesa di conoscerla meglio".

Sono tornata a casa con il cuore leggero e un gran senso di appagamento.
Quando sono andata a dormire era ormai passata la mezzanotte eppure non sono riuscita a prendere sonno facilmente, così ho cominciato a leggere "La figlia del sarto".
Sento che non mi deluderà.

giovedì 19 novembre 2009

Pensieri...


Vivendo sempre nel fango
troviamo desiderabile la vita dei lombrichi
e ignoriamo il volo delle aquile.

Sonia Ognibene

sabato 14 novembre 2009

Vivi, se vuoi scrivere!

E' una frase che mi ripeto da un po' di giorni.
Sono stanca di scrivere, pensare.
Voglio tornare a vivere, guardare il mondo, nutrirmi di posti, volti nuovi, di voci diverse, di accenti mai sentiti.

Ne ho bisogno per rivestire il mio passato con gli abiti della festa, con tanto di gruccia e cartellino.
Per dare linfa ai miei frutti acerbi voglio stendere i miei rami fino a toccare l'inconoscibile.

Quando potrò farlo?

giovedì 12 novembre 2009

lunedì 9 novembre 2009

Anche gli uomini sono animali domestici

Fedele alla regola, o meglio, all'inclinazione di leggere qualunque cosa mi capiti a tiro, senza pregiudizio alcuno sull'autore che l'abbia "generato", qualche giorno fa mi sono dedicata a una raccolta di racconti di Alessandro Carta dal titolo "Storie di animali domestici".
Non fatevi ingannare, non è il solito libro strappalacrime sui cani e gatti votati al martirio per i loro padroni (che brutta parola) ... per i loro custodi. No, è un insieme di storielle amene, nostalgiche, umoristiche che hanno per protagonisti anche gli uomini: in fondo non siamo anche noi delle bestioline domestiche?
E' lo sfondo su cui si innestano le storie ad avermi attratto particolarmente: l'Italia anni '70, quella della televisione in bianco e nero e poi a colori, l'Italia delle piccole botteghe alimentari, dei Furia e Rin Tin Tin alla televisione, delle orge culinarie nelle mega riunioni familiari, quell'Italia dal sapore agrodolce che ho vissuto anch'io, dove c'era ancora tempo, spazio e pazienza per accogliere (maldestramente o meno) compagni di viaggio pelosi, piumati e perfino dotati di carapace.

Anche se il volume non è perfetto dal punto di vista della formattazione per degli "a capo" immotivati, vi consiglio di leggerlo se volete passare un paio d'ore in compagnia di un mondo che esiste solo, ormai, nella memoria.

mercoledì 4 novembre 2009

La poesia dei "folli"

Mi fermo a sfogliare queste pagine bianche impregnate d'inchiostro. Silenzio. Nient'altro che silenzio.
Lascio parlare i tuoi versi,
ogni altro commento sarebbe stridore insostenibile
nella pace di una preghiera.

"Sono folle di te, amore
che vieni a rintracciare
nei miei trascorsi
questi giocattoli rotti delle mie parole.
Ti faccio dono di tutto

se vuoi,
tanto io sono solo una fanciulla
piena di poesia
e coperta di lacrime salate,
io voglio solo addormentarmi
sulla ripa del cielo stellato
e diventare un dolce vento
di canti d'amore per te
. "

Alda Merini tratto da Alla tua salute, amore mio

mercoledì 28 ottobre 2009

L'autunno è magia

Sì, l'ho sempre pensato. L'autunno è anticamera, è attesa dolce, lieta.
Proprio come quel "sabato del villaggio" ove la "donzelletta... reca in mano un mazzolin di rose e viole, onde, siccome suole, ornare... dimani, al dí di festa, il petto e il crine".
Poi arriva l'inverno e "tristezza e noia recheran l'ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno".

Da qui vedo le foglie ammucchiarsi a ridosso della porta, sotto la finestra, ai bordi del vialetto, quasi cercassero, accartocciate fra loro, un po' di tepore.
Ci cammino sopra... mi piace sentirle crocchiare.
Domani il vento le trascinerà via e a me resterà solo il languore del loro incanto.

E ora vi lascio con questo pensiero di John Donne:
"Nessuna bellezza di primavera, nessuna bellezza estiva hanno la grazia che ho visto in un volto autunnale".

domenica 25 ottobre 2009

I veri scrittori leggono

Voi direte: "Ma che razza di titolo è?".
Avete ragione, può sembrare strano, ma non così ovvio per tutti. I più grandi scrittori, e anche quelli che "portano a casa la pagnotta", sono così innamorati della parola scritta che non possono fare a meno di leggere qualunque cosa sia degna (o non degna) di essere letta. Sì, perché la lettura è ispirazione, è palpito, è rabbia, è sogno... è vita tutta!
Invece... altri scrittori (che credono di esserlo solo perché hanno il loro nome su un testo stampato, spesso autoprodotto) snobbano puntualmente ogni testo in commercio. Sono del tutto disinteressati a ciò che i loro colleghi hanno da comunicare.

Ma io dico: possiamo crescere, migliorare se non ci confrontiamo con "i sommi" e anche con "i mediocri"?
Come possiamo sradicare le banalità dello stile, della struttura, dei dialoghi, della trama se non leggiamo neanche un libro all'anno?
NON POSSIAMO, ecco tutto.

Perciò, spero di non sentire più frasi come queste in risposta alla mia: "Hai letto qualche libro dei comici di Zelig?", "No, io non leggo niente, sennò mi metto a copiare gli altri" (n.d.r. invece le sue battute erano così banali e trite proprio perché non leggeva e non sentiva mai nessun comico).
Oppure: "Ti consiglierei di leggere diversi saggi di scrittura creativa perché ciò potrebbe aiutarti nella stesura del romanzo che hai in mente.". "Ah, ma figurati, io non ho tempo da perdere!" (n.d.r. in 5 anni non ha ancora portato a termine il suo primo romanzo).

Meditate gente, meditate.

mercoledì 14 ottobre 2009

Bonjour Provence

Giorni di fuoco in locanda, passati ad accogliere gli ospiti, conversare, leggere, correggere e perfino tinteggiare... sì, una saletta che ho voluto color lilla. L'effetto è meraviglioso! Mi illudo così di essere in un lussureggiante campo di lavanda in Provenza.
Per completare l'effetto ho dato al tutto un tocco olfattivo, posizionando tra le scaffalature dei sacchettini profumati alla lavanda.
Secondo voi, quale libro sarebbe più adatto da leggere in un'atmosfera simile?
Se non vi viene nulla in mente, ve lo suggerisco io: Un anno in Provenza di Peter Mayle.
Vi saprò dire quando l'avrò terminato.
Buona vita a tutti.

mercoledì 7 ottobre 2009

A che servono i libri?

In questi giorni, sul sentiero che conduce alla locanda, non si è visto nessuno. Ed è stato meglio così. Forse non sarei stata di buona compagnia: volevo restare sola.
Mi sono nutrita di focacce precotte, affettati di giornata, pesche sciroppate e un senso di vuoto attorno al piatto.
Sono rimasta ore sul tappeto, davanti al fuoco, abbracciata a Bon Ton che sembrava intorpidito dal calore come un lucertolone peloso.
Pensavo… pensavo alla vita che viene e se ne va. All’improvviso. In un fiume di fango che inghiotte anche la speranza, alla terra che trema schiacciando i sogni, alle bombe che bruciano i corpi annientando il senso della vita, pensavo alla reiterata, vergognosa, inaudita violenza dei ricchi e dei potenti per i quali la legge è uguale solo per i poveri e i meno furbi.
Riflettevo, allora, su un punto fondamentale: che ci facciamo qui, tutti noi, a parlare di scrittura, lettura, arte se tutto ciò non potrà tramutare la cupidigia dell’uomo in generosità, accoglienza, rispetto per chi ci sta accanto?
In buona sostanza, a che servono le espressioni forbite, la perfezione sintattica e ortografica, i corsi di scrittura creativa e i gruppi di lettura se poi non diventiamo individui migliori, capaci di alleviare la sofferenza umana?
La letteratura di evasione va bene… almeno per un po’, ma, come a scuola, la ricreazione non può durare tutta la vita.

Dopo aver sprecato miliardi di parole sulla letteratura e il suo valore, NOI, che tipo di scrittori vogliamo diventare? Che tipo di lettori vogliamo essere? Che tipo di uomini siamo?

martedì 29 settembre 2009

Capaci di sognare


"L'uomo che non è capace di sognare
è un povero diavolo, un eunuco.
L'uomo che è capace di sognare,
e di trasformare i suoi sogni in realtà,
è un rivoluzionario.
L'uomo che è capace di amare,
e di fare dell'amore uno strumento
per il cambiamento,
è anch'egli un rivoluzionario.
Il rivoluzionario quindi è un sognatore,
è un amante, è un poeta,
perché non si può essere rivoluzionari
senza lacrime negli occhi
e senza tenerezza nelle mani."


Thomas Borge

lunedì 28 settembre 2009

Storie di fantasmi alla locanda

Ieri sera c’era aria di tregenda in brughiera. La tempesta imperversava sulla locanda con un tale impeto che ci siamo allontanati dalle finestre per evitare che il vento le aprisse senza preavviso, facendone andare in frantumi le vetrate. Così, con i miei sette ospiti abbiamo deciso di metterci in cerchio per raccontarci storie di spettri e fatti inspiegabili.
- Ma dobbiamo inventare delle storie? – ha detto la dottoressa Valeria.
- Possiamo inventarle o raccontarne di vere… pardon: presunte vere. – ho aggiunto io.
L’atmosfera si è scaldata subito.
In mezzo al cerchio abbiamo messo un vassoio di pizzette bianche e rosse e voulevant con gamberetti in salsa rosa, abbiamo spento le luci lasciando che solo la luce delle candele rischiarasse la sala della locanda e, infine, come dei bambini prima della ricreazione, abbiamo fatto la conta per scegliere il primo giocatore-narratore.
La signora B. ha raccontato dello spettro che abitava la casa della sua bisnonna e che ogni notte si sedeva sulla vecchia poltrona nell’angolo della sala da pranzo; la giovane Margherita ha raccontato di quando era stata accompagnata e protetta da due cani (apparsi all’improvviso, uno bianco e uno nero) lungo il viale deserto di una grande città, alle prime luci dell’alba; il prof-filosofo Eugenio ha raccontato di aver visto di notte una figura luminosa e incappucciata attraversargli la strada, e dissolversi lungo il lato scosceso alla sua destra.

Mi sembra superfluo aggiungere che la locanda in pochi minuti si sia trasformata in un posto sinistro: gli spifferi si sentivano ovunque, le candele sembravano tremolare più del solito, proprio come la voce degli avventori (compresa la mia) e gli scricchiolii delle travi, poi, si stavano facendo piuttosto allarmanti.

Che ci fossero davvero con noi delle oscure presenze?
Comunque, non so se fossero attirati più dalle nostre cibarie o dai nostri racconti, ma una cosa è certa: proprio al termine della storia del prof-filosofo Eugenio, la porta della locanda si è spalancata di colpo e una folata di pioggia e vento ha spento all’istante sei candele su dieci. Alcuni di noi hanno cercato di stemperare l’orrore da effetto-sorpresa con risatine nervose, mentre il resto del gruppo si è catapultato dietro al bancone con i capelli ritti sulla testa.
- Non crederete davvero a queste favole? – ha chiesto con aria di sufficienza Margherita, la mascotte del gruppo.
- Certo che no! – ha risposto il prof-filosofo mentre beveva un bicchiere d’acqua per riprendersi dal tremore.
- Il potere della suggestione, cari miei. - ho detto io. – E che suggestione! Stava venendo un infarto a tutti… siamo sinceri. O, se mi lasciate passare l’espressione, che sospensione di incredulità!

Insomma, paura o meno, la strana serata ci ha divertiti molto, perciò ho proposto a tutti di improvvisarci scrittori alla Poe o alla Lovecraft e di leggere le nostre storie solo nelle notti di vento e pioggia battente (come nella migliore tradizione gotica).
Ovviamente sono stati tutti entusiasti e adesso ho un desiderio "mostruoso" di ascoltare le loro storie soprannaturali.

E voi, ne avete una nel cassetto che volete condividere nelle notti di pioggia alla locanda?

lunedì 21 settembre 2009

Che Dio benedica la pioggia!

La pioggia non ci dà tregua. Questa mattina io e Bon Ton siamo rimasti alla finestra per circa un’ora, ipnotizzati dal suo picchiettio incessante.
Dopo ho ripreso la lettura de “Il palazzo delle pulci” di Elif Shafak, ma il mio pensiero dirottava continuamente, incessantemente su atmosfere nordiche.
Così ho mollato la presa e con indosso un pastrano acquistato al mercatino di Portobello ho lasciato la locanda, incamminandomi giù per la discesa.
BonTon sembrava felice del fuori-programma e anch’io.

A volte capita che un romanzo non riesca a darci ciò che desideriamo o che la nostra voglia di scrivere si arresti, allora c’è un solo modo per ritrovare quel piacere: nutrirci di aria, pioggia, sole, affidando al vento i nostri pensieri.
Io l'ho fatto e, al mio ritorno in locanda, ho buttato giù l'abbozzo... di un nuovo romanzo.
Che Dio benedica la pioggia!

martedì 15 settembre 2009

Il labirinto della vita

Ho lasciato la locanda per un po' di giorni, ho dovuto.
Ma l'assenza fisica, almeno nel mio caso, non è stata una lontananza anche mentale.
La mia identità è indissolubilmente legata a questo rifugio immerso nella brughiera, a questo luogo di sogno che si nutre di pensieri imbevuti di inchiostro, che si adagia su materassi e lenzuola di carta.
Ma fuori da queste mura virtuali esiste il mondo reale, quello che, senza farsi annunciare da squilli di trombe, mi ha indotto ad imboccare ancora una volta una strada frastagliata, però del tutto sconosciuta.
Per alcuni giorni mi sono persa, poi ho trovato faticosamente l'uscita per raggiungere la meta.
Perché l'amore non può lasciare spazio alla disperazione e alla rinuncia. Perché la vita è una gemma che non posso lasciar affondare nel fango.

Vi lascio con una frase di Leo Buscaglia che dice:
"Quando si cambia continuamente, bisogna continuare ad adattarsi al cambiamento, e ciò significa che vi troverete sempre di fronte a nuovi ostacoli. È questo che dà gioia alla vita. E quando siete coinvolti nel processo del divenire, è impossibile fermarsi."

E, io, non ho nessuna intenzione di arrestare il mio cammino.

martedì 1 settembre 2009

Scrittori: i giardinieri dell'anima


Ogni libro è un giardino.

Beato colui che lo sa piantare e fortunato colui

che taglia le sue rose per darle in pasto

alla sua anima!...



(Federico García Lorca).

domenica 30 agosto 2009

Paura, eh?

Ieri, mentre la brigata di lettori stava svuotando i vassoi con le meringhe, ha bussato alla porta una giovane lettrice.
- Scusate... si può? Forse è una festa privata?
- Nessuna festa privata. - ho risposto io. - Entra pure, stavamo solo godendoci delle meringhe!
La ragazza portava un vestito lungo, bianco e un paio di ciabattine bianche. I capelli castani erano raccolti in una coda e l'unica nota "trasgressiva" del suo aspetto era la montatura degli occhiali un poco buffa.
L'ho invitata a sedersi in mezzo agli altri e quel suo imbarazzo iniziale ha cominciato a stemperarsi al primo assaggio di meringa.
La vedevo interessata alla conversazione e quando ho chiesto: - Quanti di voi hanno spedito almeno un manoscritto a una casa editrice?-, tutti hanno alzato la mano, tranne lei.
Un avventore le ha chiesto:
- Davvero non ne hai mai spedito uno?
- Mai... cioè, avrei voluto, ma tanto li buttano via appena arrivano.
Da lì si è innescata una discussione sulle case editrici "carogne", del valore indiscutibile di ogni romanzo inviato dai presenti, dell'importanza delle revisioni e della valutazione disinteressata di qualcuno sull'opera.
La ragazza ha ammesso di non aver mai fatto leggere a nessuno "qualcosa di suo", perché "a chi può interessare?".
- A me. - le ho risposto, allora.
La ragazza ha quindi cominciato ad inanellare una serie di scuse per scoraggiarmi a leggere il suo manoscritto, e così mi sono posta questa domanda: perché non vogliamo far leggere ad altri ciò che scriviamo?
E mi sono data una risposta, l'unica possibile: perché temiamo che il nostro lavoro non abbia nulla di artistico, che il nostro romanzo non sia degno d'essere pubblicato e se qualcuno (un amico, un parente, un conoscente, un editor) lo scoprisse, non potremmo più recitare la parte degli "artisti incompresi".

Avere paura del giudizio degli altri è umano e inevitabile, ma scrollarcelo di dosso è indispensabile per crescere come scrittori!
Prima di considerare carogne certe case editrici, METTIAMOCI IN GIOCO!
Nella peggiore delle ipotesi potremo avere gli strumenti per rimaneggiare la nostra opera e renderla apprezzabile.
E nella migliore potremo vederla pubblicata.
Se resta su un PC a chi servirà?

E voi cosa ne pensate, miei prodi scrittori? La vostra opinione è sempre molto gradita.
Vi aspetto in locanda.

venerdì 21 agosto 2009

Racconto ispirato da parole-chiave: "Il Pozzo di Lara"

S’era installata nella cucina della zia da quarantanove minuti e non aveva smesso ancora di ciarlare con la sua enorme bocca di cernia andata a male.
Io mi dondolavo sul patio e osservavo l’aquilone dei quattro fratelli al di là del fiume. Volteggiava a scatti, s’impennava e ricadeva a piombo come un’enorme mosca cavallina.
Decisi di seguirlo.
Mi allontanai, accompagnata ancora dal chiacchiericcio molesto della vecchia zitella, fino a che il ronzio delle api a ridosso dei campi di girasoli ebbe preso il sopravvento su ogni cosa.
L’aquilone era sempre più vicino. Per raggiungerlo passai dietro alla villetta di mattoni rossi della “straniera”: viveva lì da vent’anni, ma continuavano a chiamarla così.
E fu allora che, tra le fronde, vidi la figlia della “straniera”. Era appiccicata a uno dei quattro fratelli dell’quilone, il terzo, se la memoria non mi inganna, e lo baciava con gli occhi sgranati e curiosi di uno scienziato su un microscopio.
Ad un tratto si udì la voce di sua madre:
- Lara, dove sei?
Il ragazzo si staccò all’istante e le sussurrò frettolosamente:
- A domani.
Poi le schioccò un altro bacio fugace sulle labbra e scavalcò il cancelletto più lesto di un leprotto impaurito.
Lei lo seguì con lo sguardo, accarezzandosi le labbra, increspate da un sorriso, con il dorso della mano.
- Sono in giardino, ok? – aggiunse.
- Ok. – rispose di rimando sua madre.
Poi vidi Lara avvicinarsi al piccolo pozzo del giardino e tirar su un secchio: all’interno non c’era dell’acqua, ma una scatola di latta. L’aprì e, sedendosi a terra con la schiena comodamente appoggiata al pozzo, iniziò a scrivere una sorta di lista, con tanto di trattini e “a capo”.
Forse Lara teneva un diario dei ragazzi che baciava, con corredo di voti, magari.
Se avessi avuto anch’io un diario simile ci sarebbe stato un solo nome, e forse neanche quello, visto che il mio unico bacio non era stato di quelli che si vedono alla televisione o si trovano nei romanzi della zia.
Lasciai la villetta di mattoni rossi e proseguii il mio cammino. L’aquilone era scomparso, ma la vecchia zitella “bocca di cernia” era un puntino nero verso i campi di grano.
La casa era ormai libera, così decisi di tornare dalla zia, a dondolarmi sul patio e vedere le farfalle.

di Sonia Ognibene

venerdì 14 agosto 2009

Esercizio di scrittura con PAROLE-CHIAVE alla locanda

Nella mia locanda c'è fermento nell'aria, anche le farfalle sembrano impazzite ed entrano a frotte attraverso porte e finestre spalancate. Sì, sento avvicinarsi l'autunno e, proprio per questo, lascio che stralci di sole e soffi di aria mite invadano il mio rifugio. Mi illudo, così, di poterli trattenere per l'intero inverno.
Per questo pomeriggio ho organizzato qualcosa di particolare alla locanda: questa mattina, infatti, mi ha svegliato una comitiva di 12 lettori e aspiranti scrittori.
Hanno seguito il Corso di Scrittura Creativa on line ed erano galvanizzati all'idea di poter finalmente dare una direzione ai loro pensieri.
Così, dopo i molti abbracci e sorrisi, ho proposto loro un pomeriggio di scrittura, spiluccando scones, frollini al burro, tartufi al cioccolato (messi in fresco ieri sera) e sorseggiando tè. La proposta è stata accolta con un entusiasmo stupefacente.
Ognuno potrà scegliere di scrivere dove più gli aggrada: in locanda, a ridosso della locanda, per la brughiera, giù oltre il pendio, sulle rive del lago, in piedi, seduti, sdraiati, su fogli sparsi, su quaderni, sul computer (qualcuno si è portato dietro il portatile).
Per rendere la cosa più semplice, darò loro delle parole-chiave sulle quali dovranno costruire la trama: BOCCA, AQUILONE, POZZO, MEMORIA, LISTA.
L'abilità sta nell'utilizzare tutte e cinque le parole (anche senza seguirne l'ordine) sviluppando una storia credibile intorno ad esse, senza forzature visibili. L'importante è che l'aspirante scrittore non le usi subito per poi liberarsene.
La lunghezza è a discrezione dell'autore.

Assegno anche a voi questo esercizio, miei cari lettori.
Provateci e postate tra i commenti i vostri "esperimenti".
Credo che sarà molto interessante per tutti!

lunedì 10 agosto 2009

Corso di Scrittura Creativa: DECIMA LEZIONE

Pubblicazione: importanza della grammatica, come spedire il manoscritto e a chi.

Arrivati a questo punto del corso credo che abbiate compreso quanto sia complesso il mestiere dell'aspirante scrittore. Ne avete saggiato anche la fatica fisica: la schiena dolorante, i muscoli del collo contratti, la testa in fiamme, il polso e l'avambraccio affaticati, le gambe indolenzite.

Quello che fin qui è stato omesso, però, è l'importanza della grammatica e della punteggiatura.
Se non siete abbastanza ferrati in materia vi consiglio di acquistare un buon manuale. Non saranno soldi sprecati. I dubbi e le sviste grammaticali appartengono a tutti noi, anche ai grandi autori.
Mi limiterò a porre alla vostra attenzione, invece, una lista degli errori più comuni.

Affatto
Significa “del tutto, completamente”, per cui non è corretto il suo uso da solo come negazione: “Hai mangiato la torta?” - “Affatto”.
Come rafforzativo di negazione, invece, significa per nulla. La proposizione “Non mi sento affatto stanca!” è dunque corretta.

Alternativa ed entrambi/e
Quante volte abbiamo sentito dire: “Abbiamo tre alternative”, ma l'alternativa implica una scelta fra due cose, non tre.
Stessa cosa dicasi per entrambi/e che significa “tutti e due”, perciò la proposizione “Ho comprato una tuta con inserti verdi, celesti e rosa. Entrambi i colori sono pastello” è errata.

A me mi e a te ti...
Sono forme familiari e devono essere sostituite da : “A me/a te piace...”.

Assolutamente
Rispondere “Assolutamente” nel senso di “in nessun modo” è errato. La forma corretta è “Assolutamente no”, se vogliamo rafforzare la negazione.

Cominciare e cessare
Il complemento di tempo unito a verbi che indicano un inizio o una fine non deve essere introdotto dalla preposizione da. Non si dice, quindi: “Da domani inizio la dieta!” ma “Domani inizio la dieta”.

Davanti e vicino
Richiedono l'uso della preposizione a: “Sono davanti a casa” e non “Sono davanti casa”.

Disfare e soddisfare
L'imperfetto di disfare e soddisfare è disfacevo e soddisfacevo, non disfavo e soddisfavo.

Familiare
Non famigliare.

Interdisciplinarità
La forma largamente usata interdisciplinarietà è errata.

Interpretare
Non interpetrare.

Irruente
È la forma corretta. Meno corretta è irruento (anche se si sente sempre in TV).

Ma e però
Vanno usati singolarmente, non in coppia.

Meteorologia, meteoropatico, aeroporto
Queste sono le forme corrette, non metereologia, metereopatico, aereoporto che sentiamo perfino alla televisione.

Numerali ordinali
Vengono scritti senza le letterine in esponente: Elisabetta II non Elisabetta IIª.

Obiettivo
È la forma più comune, anche se obbiettivo è comunque accettata.

Qual
Rifiuta l'apostrofo, perciò qual'è non è la forma corretta.

Riuscire

Nel significato non essere in grado di deve essere seguito dalla preposizione a + infinito. “Non riesco dormire” è forma errata.

Sennò e altrimenti

Vanno usati singolarmente e non in coppia: altrimenti significa già sennò.


Il pronome sé vuole l'accento per distinguersi da se congiunzione. Quando è affiancato a stesso e medesimo conserva ugualmente l'accento.

Succube
È la forma più usata, ma le forme succubo/a non sono errate (anche se personalmente non le userei mai).

La punteggiatura
Per la stragrande maggioranza degli adolescenti -assuefatti all'ingozzata di SMS- e per buona parte degli adulti, la punteggiatura è un dettaglio di scarsa rilevanza.
Ne ha, invece, e molta! Immaginate un cartello con la scritta: “Qui si vendono stivali per bambini di gomma” pensereste ad un articolo riservato a piccoli alieni elastici, ma se scriviamo la stessa frase inserendo la virgola: “Qui si vendono stivali per bambini, di gomma” afferriamo subito il senso della frase.

Il punto indica una pausa lunga.

La virgola, una molto breve.
Quando siete dubbiosi riguardo al suo uso, leggete ad alta voce il periodo e, laddove fate una pausa naturale o cambiate intonazione, inserite la vostra virgola.

Il punto e virgola
è una pausa intermedia tra i due punti, perché separa due o più segmenti di un periodo. Non è seguito dalla lettera maiuscola. Può essere sostituito dal punto.

I due punti servono per introdurre una spiegazione, un elenco, un discorso diretto.

Il punto interrogativo introduce una domanda, un'espressione di esortazione, di dubbio, di meraviglia.

Il punto esclamativo
viene usato nei comandi, nei rimproveri o per esprimere meraviglia, rabbia, gioia.

I puntini di sospensione, che devono essere non più di tre, indicano una sospensione del pensiero, un imbarazzo, un'esitazione.

Le virgolette si distinguono in:
caporali < >
virgolette alte “ ”
apici ' '.
Le prime due servono per racchiudere discorsi diretti, citazioni, titoli.
Gli apici vengono solitamente usate per dare rilievo a una o più parole all'interno di una proposizione.

La lineetta
Sostituisce le virgolette per introdurre le battute di un dialogo o - come faccio spesso io - per racchiudere un inciso.

Il trattino è più corto della lineetta e serve a unire due membri di una parola composta o ad indicare la divisione in sillabe prima di andare a capo.

Le parentesi tonde servono a racchiudere un inciso più forte, per inserire delle note, indicare l'autore di una citazione, una data.

Le parentesi quadre ─ usate di rado – servono per inserire una parola o una frase che non fanno parte del testo citato ma che danno un'informazione maggiore al lettore.

La sbarretta
Si usa per separare i versi di una poesia evitando di andare a capo, per esprimere una contrapposizione o per formare la congiunzione copulativo-disgiuntiva e/o.

Ora passiamo alle dritte per la pubblicazione.
Finalmente, direte voi!
In effetti è ciò che ci interessa maggiormente. Non appena ci accingiamo a scrivere un racconto ci immaginiamo già ricchi e famosi e, non di rado, sprechiamo gran parte del nostro tempo a fantasticare piuttosto che a concentrarci sulla trama e i personaggi.
È umano e comprensibile lo so. L'importante è non cullarsi in sogni di gloria inesistenti, altrimenti ne resteremo terribilmente delusi.

Le regole della pubblicazione

1) PORTATE A TERMINE UN ROMANZO O UN RACCONTO.
SE NON AVETE NIENTE TRA LE MANI, INIZIATELO E FINITELO
2) STAMPATELO
3) REVISIONATELO PIÙ VOLTE
4) FATE UNA RICERCA ACCURATA IN INTERNET SULLE CASE EDITRICI ALLE QUALI VOLETE SPEDIRE IL VOSTRO MANOSCRITTO per sincerarvi dei generi e delle collane che editano. Si può sperare di far pubblicare un romanzo da una casa editrice che si occupa solo di saggi e poesie? Preoccupatevi anche di cercare i nomi dei direttori editoriali ai quali vi rivolgete. Vi toglierà l'aria da sprovveduti.
5) INVIATE IL MANOSCRITTO ─ senza graffette o rilegature – controllando che non abbia macchie, abrasioni, refusi ed errori grammaticali. Abbiate cura di formattarlo secondo i criteri tipografici della casa editrice da voi scelta che, tanto per fare un esempio, potrebbe utilizzare le virgolette o i caporali al posto delle lineette per introdurre i dialoghi.
Accludete una LETTERA D'ACCOMPAGNAMENTO con il titolo dell'opera, il numero di parole o dei caratteri, il vostro nome, indirizzo, recapito telefonico ed e-mail. Questi dati dovranno essere riportati anche sulla prima pagina dell'opera.
Necessaria è anche la LETTERA DI PRESENTAZIONE che ha il compito di incuriosire l'editore. Qui, più che mai, dovete mettere a frutto le vostre abilità di scrittori. Iniziate spiegando i motivi che vi hanno spinto a scegliere quel determinato editore, poi, in poche righe, fate un riassunto accattivante dell'opera. Inserite anche una vostra breve autobiografia. Non guasta.
Non dimenticate di aggiungere in chiusura che l'opera è frutto del vostro ingegno e che avete accluso una busta affrancata per la risposta.
Non siate troppo deferenti e neppure troppo amichevoli. Siate professionali.
6) ATTENDETE LA RISPOSTA PAZIENTEMENTE. Chiamare le redazioni o inviare e-mail dopo poche settimane non serve, anzi, indispone il personale e vi mette in cattiva luce.

Vi consiglio di prendere nota di alcune regole generali, preziosissime, per formattare un testo, al link
www.writersmagazine.it/info.php/collaborare gestito dal prolifico e brillante scrittore e direttore della rivista Writers Magazine Italia, Franco Forte.

Ai consigli di Franco Forte io aggiungerei anche questa raccomandazione: se avete una è ad inizio capoverso - quindi maiuscola - non scrivetela in questo modo E', vale a dire con l'apostrofo al posto dell'accento. Andate invece (se utilizzate Word) su Inserisci/ Carattere speciale (o Simbolo) e scegliete la È con l'accento grave che vi occorre.

Bene. A queste vanno aggiunte altre basilari regole di formattazione:

Le cartelle - vale a dire i fogli in A4 scritti solo su una faccia - devono essere di 30 righe per 60 battute, con caratteri Courier New, Times New Roman o Arial, a 12 punti.

Le righe devono prevedere almeno due centimetri di margine e la doppia spaziatura fra una riga e la successiva.

Ogni paragrafo deve avere un rientro.

Le pagine vanno numerate in basso a destra.

La sillabazione deve essere corretta, vale a dire con il trattino a fine riga se la parola è troppo lunga. Per impostare questa opzione andate su File/Anteprima di stampa/ Strumenti/ Lingua/ Sillabazione e mettete il segno di spunta sul quadratino “sillaba automaticamente documento” e, infine, cliccate su OK.

ESERCIZIO 12
Scrivi una lettera di presentazione, esercitandoti a riassumere in modo accattivante la tua opera. Se il romanzo è terminato, accludilo e spedisci il tutto. È arrivato il momento di rompere gli indugi.

Se dopo aver seguito tutte i consigli trovati in questo corso non ricevete comunque risposta dalle case editrici, avete altre tre possibilità:
- rivolgervi ad agenti letterari (ma attenti ai marpioni succhia-soldi!)
- partecipare a concorsi letterari seri (io l'ho fatto ed è stata la scelta vincente)
- pubblicarvi a vostre spese.
Quest'ultimo è un punto molto dolente.
Tanti, troppi individui senza scrupoli, si spacciano per editori seri.
Come riconoscerli?
Solitamente questi pseudo-editori contattano subito il malcapitato scrittore per coprirlo di elogi e, poi, attaccano col “pistolotto” dell'editoria in crisi, della missione dell'editore, delle terrificanti spese che ogni editore deve affrontare per far emergere i talenti nascosti, e quindi... morale della favola... parlano di contributo per la pubblicazione.
Spesso questi “contributi” ammontano a migliaia di euro per un centinaio di copie, le quali, nella stragrande maggioranza dei casi, non entreranno mai in libreria. Sperare che vengano pubblicizzati è una vera chimera! Dovete fare tutto da soli. A questo punto vi consiglierei di andare da un tipografo, farvi fare un preventivo e “buonanotte”. Con la stessa cifra potreste averne 1000 di copie, non 100!

Quel che conta è il codice ISBN -International Standard Book Number- che avrete visto un milione di volte in retro copertina.
È un sistema unificato per la numerazione dei libri su scala internazionale, che rende unico e, perciò, immediatamente identificabile il vostro romanzo.

Una serie di avvertimenti utilissimi per sfuggire alle trappole editoriali potete trovarli sul sito: www.danaelibri.it/rifugio/rifugio.htm

Mi sembra oneroso precisare che non tutte le casse editrici minori nascondono insidie. A volte i contributi richiesti sono di modesta entità e garantiscono il codice ISBN, la pubblicità, la distribuzione reale in alcune librerie e la possibilità d'acquisto diretto sui siti delle case editrici in questione.

Mi auguro che quanto detto fino ad ora vi abbia divertito, vi sia stato utile e vi abbia anche fatto innamorare della lettura.
Mi piace pensare che, magari, qualcuno fra voi abbia anche scoperto un talento artistico nascosto e voglia metterlo seriamente in pratica.

Cos’altro aggiungere? Spero di incontrarvi in libreria… come scrittori.

lunedì 3 agosto 2009

Corso di Scrittura Creativa: NONA LEZIONE

La revisione: i veri scrittori la fanno

Ognuno di noi ha un approccio diverso alla scrittura.
C'è chi centellina ogni parola e butta giù un paragrafo in due ore e chi, lasciandosi travolgere dall'impeto creativo, produce trenta pagine in mezz'ora.
Ci sono alcuni che scrivono bene circondati dal disordine, dal rumore, e altri che non riescono ad andare avanti se non si trovano in un luogo confortevole, ordinato e silenzioso.
In verità, non c'è un modo giusto o sbagliato per mettersi a scrivere, così come non conta quale sia il momento migliore della giornata per farlo: prime ore del mattino, ora di pranzo, tardo pomeriggio, notte fonda.
La cosa migliore sarebbe quella di mediare le diverse componenti ma, se proprio non ci riuscite, è opportuno che ascoltiate almeno questo consiglio.
Non siate meticolosi nella scelta delle parole giuste e non rileggete continuamente ciò che avete scritto un istante prima.
Perché?
Perché siete nella PRIMA STESURA, e a questa seguirà una seconda, una terza, una quarta e una quinta se non sarete soddisfatti. Aldo Busi ne ha fatte addirittura quattordici del suo primo romanzo Seminario sulla gioventù!
Quindi, non perdete tempo. Scrivete e basta.
Un libro deve essere coerente nel complesso delle sue pagine, non nel singolo paragrafo!
La visione d'insieme è fondamentale per la buona riuscita di una storia, e se il libro non è terminato non possiamo coglierla.
Uno scrittore che lavora seriamente lo sa e assume due identità contrapposte. Nella prima stesura è un cavallo che galoppa libero nella prateria, si lascia andare completamente, scrive buttando giù tutti i particolari che gli saltano in testa, tutte le metafore e le similitudini possibili, senza vergogna o pudori di sorta.
Nella seconda è un censore scrupolosissimo che taglia senza pietà tutto ciò che è banale, ridondante, incoerente, fuorviante, inappropriato, e manipola, corregge, amplia e riscrive laddove occorre. Insomma, è un baio imbrigliato che va al trotto seguendo percorsi obbligati.

La revisione può sembrarvi un lavoro pesante e noioso e, ad essere sinceri, in alcuni casi lo è, ma può essere anche molto divertente e stimolante.
Avete davanti la vostra “creatura”, l'avete partorita voi dopo mesi di estenuante lavoro fatto di frustrazione, esaltazione, rabbia, gioia, isolamento e altre mille emozioni contrastanti. Ve la rigirate tra le mani pensando che il grosso sia già stato fatto. E avete ragione. Perciò, non scoraggiatevi e rimettetevi al lavoro con entusiasmo.

Alcuni obietteranno che è quasi impossibile revisionare il proprio manoscritto appena terminato.
Sì, è verissimo. Vi risulta talmente familiare che non riuscite a rimaneggiarla. Occorrono dei giorni, in alcuni casi delle settimane, per mantenere il necessario distacco dall'opera.

Cosa si può fare, allora?
Se lavorate al computer, stampate ciò che avete scritto e, con un pennarello tra le dita, cominciate a segnare i passaggi che suonano male o che vi annoiano.
Oppure, se avete amici che siano pazienti lettori e anche abili editor, potreste affidare al loro giudizio la vostra “creatura”. In questo caso, non rifiutate a priori ogni giudizio negativo, né accettate di buon grado qualunque tipo di correzione perché persino gli editor professionisti possono sbagliare. Se, ad esempio, la vostra prosa voleva essere rabbiosa e sconnessa per ragioni intrinseche alla storia e ai personaggi, le modifiche di un editor potrebbero snaturarla.

Procediamo.

Date un'occhiata al numero dei vostri personaggi e chiedetevi se sono sufficienti per raccontare la vostra storia o se sia il caso di eliminarne qualcuno per non generare confusione nel lettore.
Sono poco caratterizzati?
Sono stereotipati?
Sono sufficientemente motivati a raggiungere degli scopi?

Per ciò che riguarda la trama l'incipit è fondamentale. La maggior parte dei libri che restano invenduti sugli scaffali hanno un inizio fiacco, dallo scarso potere immaginifico. Per quanto mi riguarda, le descrizioni iper-dettagliate dei paesaggi hanno un notevole effetto soporifero sulla psiche. Evitatele. Cercate di iniziare con qualcosa che evochi già il fulcro della storia, che metta già a fuoco un personaggio.
Nella parte centrale avete messo in pratica i consigli de Il viaggio dell'Eroe?
L'evento o gli eventi portano con gradualità al climax?
L'epilogo è terribilmente scontato? Oppure è tanto imprevedibile da risultare inverosimile?
Il finale perfetto – difficilissimo – dovrebbe essere, come dice Peter Selgin, “sorprendente e inevitabile”. Deve contenere la meraviglia, ma al tempo stesso risultare l'unica conclusione possibile per gli eventi accaduti precedentemente.

Il punto di vista è da tenere sotto controllo. L'avete rispettato?
Pensate che cambiandolo la storia potrebbe benficiarne?
Vorreste alternare diversi punti di vista?
Pensateci bene e procedete nella revisione.

Nelle descrizioni ricordatevi di evocare nel lettore i cinque sensi.
Bandite da esse l'astratto e il generale: siate attenti al concreto e al particolare.

Nel dialogo siate concisi. Le lungaggini e i “comizi elettorali” non sono ammessi.
Per appurare che un dialogo funzioni occorre che sia letterario ma recitabile, perciò, leggetelo ad alta voce.
Curate il sottotesto di un dialogo.
Se siete abbastanza bravi, lasciate anche che i personaggi cadano in contraddizione mentre discutono. Nella realtà succede sempre, non è vero?
Alternate i dialoghi alla narrazione.

Fate un buon uso dei flashback. Se abusate di questo strumento finirete per confondere il lettore irrimediabilmente. Che siano brevi, quindi, e limitati a singoli periodi.

Curate l'ambientazione. È necessario trasportare il lettore nel tempo e nello spazio delle storie. Una storia di maldicenze che porta a drammatiche conseguenze non avrebbe alcun impatto emotivo se fosse ambientata in una metropoli come Milano. Non vi pare?
Usate l'ambientazione anche come metafora di uno stato d'animo. Campi fioriti e sole splendente si adatteranno a romanzi sull'infanzia felice, mentre piogge battenti e venti impetuosi potranno essere lo sfondo ideale per un thriller.

Tornando alla prima soluzione, potete revisionare la vostra storia cominciando dai dialoghi per finire alla narrazione vera e propria, oppure lavorare alla totalità della storia, tagliando i brani che non vi convincono affatto e riscrivendoli completamente. Perché? Perché le espressioni vecchie bloccano il nuovo flusso creativo.
Molti scrittori, addirittura, salvano solo pochi paragrafi e riscrivono l'intera opera.

Ah! La grande Virginia Woolf conservava ogni stesura delle sue opere: fatelo anche voi! Ognuna contiene in sé dei tesori creativi che potrebbero illuminarvi tardivamente.

venerdì 31 luglio 2009

Spocchia culturale: se la conosci, la eviti

Ieri, nel tardo pomeriggio, ho lasciato la locanda per far visita alla libreria di Miss Dalloway.
Mi piace andarci almeno una volta alla settimana: posso accucciarmi in qualche angolo a gambe incrociate e saggiare la bellezza o banalità di un nuovo romanzo, senza che qualche “sapiente borioso” gridi allo scandalo per vituperio al “tempio sacro della cultura”.
E’ vero, anche per me il libro intonso col suo fresco odore di stampa ha un non so che di mistico, ma considerare blasfemo un lettore che si accomoda a terra per gustare un romanzo è qualcosa che non penserei nemmeno sotto tortura.
Ebbene, questi sapienti boriosi, che per semplificare definirò S.B., parlano (e straparlano) continuamente di analfabetismo di ritorno per il mancato uso corretto della lingua scritta e la diserzione della lettura in giovani e adulti.
Voi direte: “Ma è la verità! La situazione è gravissima, soprattutto da quando sono venuti fuori i cellulari e quei maledetti SMS!”.
Sì, nulla da dire. Tutto vero. Ma come mai, allora, quando un romanzo vende un numero spropositato di copie, gli S.B. invece di rallegrarsi e sventolare bandiere, stigmatizzano libro e autore come scarsi, banali e commerciali ?
Penso a Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, a tutti i romanzi di Federico Moccia e a Il Codice da Vinci di Dan Brown, tanto per citarne alcuni.
Gli S.B. non sanno che giudicando libri e autori inetti danno inconsapevolmente (o forse di proposito) dell’idiota a tutti i lettori che li hanno scelti?
La verità, miei cari, è che buona parte del mondo culturale è impregnato di spocchia.
Gli S.B., in realtà, non si rallegrano quando i giovani si appassionano alla lettura, perché ciò rappresenta un’intrusione nel loro mondo di dotti, di “eletti”.
Non vogliono lasciare il loro scranno. Sono restii a condividere il sapere.
Anziché ammettere il valore di uno scrittore commerciale (nel senso letterale e non spregiativo del termine) preferiscono denigrarlo per sentirsi ancora in cima al mucchio.

Ma a che cosa e a chi serve tutto questo? A nulla e a nessuno, lo capite da soli.

S.B., abbandonate la vostra spocchia, parlate alla gente nel modo più semplice possibile e incoraggiate alla lettura senza denigrare nessuno.
Non lo sapete che la giustizia e la pace tra i popoli passa soprattutto attraverso la conoscenza e la condivisione del sapere?

A voi tutti buona lettura. Vi aspetto in locanda.

lunedì 27 luglio 2009

Corso di Scrittura Creativa : OTTAVA LEZIONE

Le descrizioni: la ricerca delle parole giuste, le figure retoriche e i dettagli efficaci

Osservate questi due brani tratti da On the Road di Jack Kerouac (traduzione di Magda de Cristofaro):

“Poi c'è Conny Jordan, un pazzo che canta e butta in aria le braccia e finisce schizzando sudore su tutti e prendendo a calci il microfono e strillando come una donna; e lo vedete a notte fonda, esausto, ascoltare indiavolate esecuzioni di jazz al Jamson's Nook con quei suoi grossi occhi rotondi e le spalle cascanti, lo sguardo appannato fisso nel vuoto, e un bicchiere davanti.”

“Adesso puntavamo il muso sferragliante della macchina verso sud e ci dirigevamo in direzione di Castle Rock, nel Colorado, mentre il sole si faceva rosso e i picchi delle montagne volte a ovest parevano una birreria di Brooklyn nei crepuscoli di novembre.”

E ora altri due brani tratti da Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy (traduzione di Chiara Gabutti) :

“Vide che quando sorrideva aveva profonde fossette, che indugiavano a lungo anche dopo che il sorriso aveva abbandonato i suoi occhi. Vide che le sue braccia brune erano rotonde e sode, perfette. Che le sue spalle risplendevano, ma che i suoi occhi erano da qualche altra parte. Vide che, nel porgerle dei regali, non ci sarebbe stato più bisogno di tenerli sul palmo aperto in modo che lei non lo toccasse... Ammu vide che lui aveva visto, e distolse lo sguardo. Lui pure lo distolse. I demoni della storia tornarono a reclamarli. A riavvolgerli nella vecchia pelle sfregiata della storia e a ricacciarli nelle loro vere vite. Dove le Leggi dell'Amore stabiliscono chi deve essere amato. E come. E quanto.”

“Con l'inizio di giugno, però, arriva il monsone da sudovest, portando tre mesi di vento e pioggia, con brevi incantesimi di sole aspro e brillante che i bambini elettrizzati rubano per i loro giochi. La campagna diventa di un verde sfrontato. I confini sfumano man mano che i filari di tapioca mettono radici e fioriscono. I muri di mattoni diventano verdemuschio. I viticci del pepe nero serpeggiano su per i pali della luce. I rampicanti selvatici traboccano dagli argini di laterite e si riversano nelle strade allagate.”

L'abisso tra i due stili è lampante.
Ma una cosa li accomuna: entrambi esercitano una potente forza attrattiva sul lettore, che riesce a “vedere” chiaramente sia Conny Jordan che Ammu, a percepire sia la magia delle luci del tramonto sulla strada che va a Castle Rock che gli odori del muschio ad Ayemenem.
Perciò, che la vostra prosa sia scarna o ricca di “carezze” lessicali, dovrete sempre ricreare nel lettore l'illusoria fisicità dei personaggi e dei luoghi in cui essi si muovono.

Come?
Ci sono delle tecniche.Vediamole insieme.

I cinque sensi
Nella realtà noi vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, annusiamo, assaporiamo.
La somma dei nostri sensi ci porta a sentire pienamente gli individui che incontriamo e i luoghi in cui viviamo.
Per rendere la narrativa un'esperienza straordinaria, lo scrittore deve fornire tutte le infomazioni atte a coinvolgere i cinque sensi.
Dovete descrivere l'aspetto fisico di un personaggio, gli abiti che indossa e come li indossa, accennare alla sua voce, all'odore che emana. E il lettore si sentirà immerso totalmente in quella realtà, frutto della vostra fantasia.
Non è meraviglioso?
A me sembra un miracolo.

ESERCIZIO 10
Rileggi i brani sopra citati e sottolinea i sostantivi, gli aggettivi e i verbi che stimolano i cinque sensi.

Fornire semplicemente dettagli sensoriali, però, non basta.
Molti scrittori alle prime armi fanno un uso troppo sfrontato di aggettivi e avverbi che rendono le descrizioni fiacche e trite.
“LASCIAMI IN PACE!” è più incisivo di “Lasciami in pace - disse rabbiosamente”.
E “I suoi intensi occhi verdi mi fecero vacillare” è meno potente di “Aveva iridi verde-muschio, e pupille piccole e scure che trafiggevano come spilli. Non riuscii a sostenere lo sguardo e vacillai”.
La parola d'ordine è PRECISIONE.
Siate precisi. Scegliete la parola giusta, non quella che si avvicina.
Con questo non voglio dire che gli aggettivi e gli avverbi debbano essere banditi dalla narrazione! Facendo un paragone culinario, vedeteli come... il sale e il pepe. Se li userete con parsimonia - accanto a nomi e verbi forti - esalterete il gusto delle vostre “pietanze”.

Il linguaggio figurato
Il linguaggio figurato è costituito dalle similitudini e dalle metafore.
-La similitudine è una figura retorica che mette a confronto due cose essenzialmente diverse attraverso l'uso della preposizione "come".
-La metafora è una figura retorica con cui si definisce una cosa come se fosse un'altra.

Es.
-Lo fissò come un cane punta la preda. (similitudine)
-Spalancò la caverna e ne uscì odore di muffa e tizzoni inceneriti (metafora che indica la bocca di un fumatore che trascura la sua igiene orale)

Onomatopea, allitterazione e lirismo.

-La onomatopea è una parola che contiene in sé il rumore della cosa che indica.
Es.
La campanella tintinnò.

L'allitterazione si ottiene quando due o più parole hanno le iniziali in comune.
Es.
Sulle sue labbra rossastre ruggivano rotte maledizioni.

Il lirismo è una prosa che diventa poesia, attraverso il sapiente uso del suono e del ritmo all'interno di una frase.
Es.
Sussurro, sussurro, il vento fra i pioppi, dal tono elettrico. I cigni fischiano contro di me... Lastre di ghiaccio, brinate e limpide: il vento le spinge sulla riva meridionale... Se non stessi leggendo queste superfici, riuscirei a interpretare i loro rumori? Scricchiolare, gorgogliare, spostarsi, scorrere, crepitare, sospirare: non è un rumore che abbia mai sentito prima. È un suono soffice, facile, intimo.
(tratto da Una musica costante di Vikram Seth, traduzione di Massimo Birattari)

Errori da evitare
Evitate metafore, similitudini, espressioni usate un miliardo di volte da chiunque.
Es.
Mi trattò con i guanti bianchi.
Stava lì, muta come un pesce.
La classe fissava i libri con la testa tra le nuvole.
Ero così felice che toccai il cielo con un dito.
Avevo il cuore in gola.

Non usate troppe metafore contemporaneamente e che contrastano fra loro.
Es.
Luisa era una donna forte. Nella vita nuotava controcorrente e io l'ammiravo mentre la vedevo scalare la vetta delle sue ambizioni.
L'uso di nuotare e scalare in una stessa frase disorienta il lettore e distrugge il potere immaginifico delle due metafore.

Non siate prolissi nelle descrizioni o troppo accurati. Cercate, invece, il dettaglio preciso che possa servire alla narrazione per comunicare qualcosa: la solitudine, il silenzio, la rabbia, l'ottusità, la forza e così via.
Es.
Il vecchio rimproverò sua moglie. Lei trotterellò nell'altra stanza, infilandosi un dito in bocca e scuotendo la testa.

In questa frase la donna non è descritta con molti particolari, ma quelli che ci sono bastano al lettore per farsi un'idea chiara del personaggio: la donna sembra avere delle turbe mentali che si porta dietro dall'infanzia.

ESERCIZIO 11
Inventa un personaggio e descrivilo fisicamente e caratterialmente adottando le tecniche viste in questa lezione. Vai a ruota libera, sprigiona la fantasia. Poi revisiona il brano, e sfrondalo degli elementi poco pregnanti e dalle frasi stereotipate. Ciò che dovresti ottenere è una descrizione breve ma dai dettagli efficaci.


Datevi da fare! È un esercizio molto divertente.
Voglio ricordarvelo ancora una volta: l'unico modo che avete per scrivere una prosa degna di uno scrittore è quello di scrivere tanto, esercitarsi, sperimentare e... riscrivere.
A tal proposito, nella prossima lezione ci occuperemo proprio della riscrittura di un testo.
Buon lavoro!

venerdì 24 luglio 2009

Eve Green e la magia del Galles

Non c’è un modo giusto o sbagliato di scegliere un libro: può essere frutto di una scelta ben ponderata o quasi obbligata per via dell’assillante battage pubblicitario, della ricerca precisa di un genere, di un argomento, di un autore preferito. Può essere anche per l’immagine che colpisce il nostro occhio, per il titolo evocativo, per la trama in quarta di copertina, per l’incipit o, ed è questo il mio caso, per un incontro del tutto casuale e non previsto. Passando in una cartoleria/tabaccheria, mi sono imbattuta in 2 poveri “orfanelli”: La coscienza di Zeno (che ho letto e riletto numerose volte) ed Eve Green di Susan Fletcher, vincitore del Whitbread First Novel Award.
Quel “First” mi ha convinta subito, perché resto sempre affascinata dalle opere prime che vincono premi letterari di una certa importanza. Un romanzo di scarso valore non potrebbe di certo vincerne uno, perciò me lo sono portato a casa e ho cominciato subito a scoprirlo, parola dopo parola, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, fino a sentirmi stordita dalla sua prosa seduttiva e avvincente.
Il Galles - dal vento impietoso, le rocce aguzze, i dirupi, i rovi e le torbiere - grazie alla maestria dell’autrice diventa un luogo magico, quasi irreale.
Il paesaggio non può prescindere dalle vicende dei personaggi, non sono uno sfondo per rendere il romanzo più interessante, ma sono l’essenza stessa del romanzo. Evangeline, o meglio, Eve non sarebbe stata quella che è senza Pencarreg e il Tor. Nel bene e nel male.
Sì, perché il male stravolge la sua fanciullezza incosciente, ma la consapevolezza della maturità le regala poi quanto di più prezioso una donna possa desiderare.
Sempre in quegli stessi luoghi, quasi ad esorcizzare gli eventi tragici del passato.


Andrò in Galles. Ho deciso.
E come Eve Green mi siederò sullo spuntone battuto dal vento più aspro del Tor-y-Gwynt e lascerò che i capelli si innalzino verso il cielo, insieme al filo dei miei pensieri più segreti.

martedì 21 luglio 2009

Corso di Scrittura Creativa: SETTIMA LEZIONE

Dialoghi: quando, come, perché

Alcuni scrittori ritengono che le descrizioni accuratissime e i virtuosismi lessicali e sintattici possono da soli reggere la struttura di una storia.
Non è così. Molto spesso annoiano persino i lettori più incalliti, e tendono a bloccare l'evoluzione della trama.
I dialoghi ben fatti, invece, mostrano nel modo più diretto l'interazione tra i personaggi e, conseguentemente, il crescendo di una storia.

Per scelte stilistiche siete liberissimi di adoperare esclusivamente la narrazione in senso stretto o frastornare il lettore con dialoghi a tutta pagina e “a tutto libro”, ma narrazione e dialogo devono essere bilanciati se vogliamo tenere il lettore avvinto alla storia.

Come può uno scrittore riconoscere i momenti giusti per inserire i dialoghi?

Dunque, il dialogo attira su di sé l'attenzione del lettore per cui, se lo si usa, occorre che la scena sia significativa per lo sviluppo della trama e dei personaggi.
Un dialogo di sette pagine sulle pratiche evase in ufficio, quindi, non è esattamente la giusta mossa da fare per uno scrittore che si rispetti!
Non aggiunge nulla né alla trama né ai personaggi.
È perfettamente inutile, totalmente privo di significato.
L'effetto cha avrà sul lettore sarà uno solo (e al cubo): noia, noia, noia.

Es.
- Stamattina mi sono alzato, ho preso il caffè e poi ho fatto la doccia con l'acqua calda. Il bagnoschiuma che ho usato è quello al sandalo che ho preso al supermercato.
- Ha una buona profumazione?
- Sì, mi piace moltissimo. Tu che bagnoschiuma hai usato stamattina?
- Alla magnolia.

- Ti piace?
- Così così... è meglio la schiuma da barba alla magnolia.
- In gel o spuma?

Questo dialogo potrebbe andare avanti ad oltranza ma, anche dopo queste poche battute, sarà già un miracolo se il manoscritto non sia stato ancora incenerito dal malcapitato lettore di turno.
IL DIALOGO DEVE AVERE UN SENSO, DEVE STIGMATIZZARE UN MOMENTO, DEVE PORTARE AVANTI LA TRAMA, DEVE SVELARE I PERSONAGGI E LE RELAZIONI CHE INTERCORRONO FRA LORO.


Dialoghi finti
Ammesso che non abbiate scelto la clausura come stile di vita, ogni giorno vi trovate a conversare con chiunque su qualunque argomento, perciò dovrebbe essere semplice creare dei dialoghi.
Purtroppo, per quanto possa sembrare impossibile, scrivere dialoghi verosimili ed efficaci è un'impresa alquanto ardua.
Chi si è già cimentato nella stesura di una storia sa perfettamente quanto i dialoghi, per svariati motivi, possano risultare “stonati”.
L'inesperienza, la superficialità, la scarsa osservazione, il mancato studio del personaggio possono dar vita a due grossissimi inconvenienti:
1) l'appiattimento del linguaggio dei personaggi
2) l'incoerenza del dialogo per sovraffollamento d'informazioni.

Mi spiego meglio.

1) Prestate attenzione alle parole del vostro collega di lavoro. Se lo farete vi renderete subito conto di quanto il suo modo di parlare differisca dal vostro. Ognuno di noi ha un preciso intercalare -fateci caso- dovuto ad appartenenze regionali o a scelte inconsce del tutto personali.
Una mia amica siciliana infarcisce qualunque discorso di "possibilmente", un amico bergamasco di "pota" e amici della provincia di Parma, per dissentire da qualcosa, buttano là un bel "secon' tì!".
Gli adolescenti adottano ancora i cari vecchi "cioè" e "niente" di imperitura memoria e, per quanto mi riguarda, uso con frequenza sconcertante l'avverbio praticamente, ma sto lavorando per confinarlo definitivamente nel “limbo delle parole inutili”.
Quando pensate ai dialoghi del vostro personaggio, perciò, non preoccupatevi esclusivamente dei contenuti e dell'incastro ideale nella narrazione. Lavorate anche sulla forma linguistica da adottare per veicolare le informazioni.

Ricordate: il linguaggio di un personaggio è strettamente correlato alla sua personalità, educazione, istruzione, provenienza territoriale.

2) L'altro errore frequente per un neofita della scrittura è quello di voler dire tutto e subito di un personaggio.
Un romanzo non è una gara dei 100 metri, ma una maratona che punta dritta al traguardo con “rimonte” improvvise.

Es.
- Ciao Filippo, com'è andata in ufficio? Il tuo capo Stefano ti ha dato delle rogne, visto che è così nervoso per il tradimento di sua moglie?
- No, lui no, Marcella. In compenso il mio collega Giovanni mi ha sfinito all'inverosimile con i suoi problemi d'ernia. A te com'è andata la giornata qui a casa? Nostro figlio Marco si è preparato bene per il compito in classe di questa mattina?

Questo dialogo è a dir poco penoso. Di solito quando due coniugi si rivedono a distanza di poche ore, è alquanto improbabile che si chiamino per nome o che rimarchino informazioni note ad entrambi.
Come ho avuto già modo di accennare precedentemente, centellinate le informazioni e lasciate che i silenzi, i gesti, le azioni diano le informazioni di cui il lettore ha bisogno.
Vediamo come possiamo rendere accettabile il dialogo precedente:

Es.
- Ciao.
Filippo si sfilò il cappotto e lo lanciò sul divano.
- Non mi dire che hai litigato col tuo capo!
- Macché... è Giovanni! M'ha proprio scassato, non ne posso più!
- Ce l'ha ancora con l'ernia?
- Appunto! L'ernia, sempre l'ernia: non può fare sforzi. E io devo lavorare al posto suo! Lasciamo stare... Tu che hai fatto? ...Marco?
Marcella continuò a lavare l'insalata, poi aggiunse:
- Se continua così lo bocciano.
- Non era oggi il compito in classe?
- Eh! ...Speriamo bene.

In questo esempio il dialogo, le azioni e il silenzio di lei alla domanda "...tu che hai fatto?" rivelano, con brevi tratti, non soltanto le personalità dei personaggi, la figura del collega e il figlio della coppia, ma anche le dinamiche familiari e lavorative.


Aderenza alla realtà o linguaggio forbito?
Nei secoli passati il linguaggio della narrativa era aulico – pensate a Cime Temepestose di Emily Brönte, Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, I dolori del giovane Werther di J.W. Goethe - poi la narrativa si è avvicinata alla realtà, al linguaggio del quotidiano, agli “slang” - La ragazza di Bube di Carlo Cassola, Il giovane Holden di J.D. Salinger, Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia, ecc. - e oggi nessun editore pubblicherebbe più un romanzo dai dialoghi classicheggianti, perché risulterebbero del tutto innaturali.
Attenzione, però!
Lo scrittore, per aderire al linguaggio del quotidiano, può lasciare i cliché, le frasi trite e i commenti scontati in bocca ai personaggi ma deve, nel modo più assoluto, sfuggire la banalità e la sciatteria linguistica nella narrazione.

Una cosa però occorre precisare: se è vero che la narrativa di oggi richiede dialoghi attinti dalla realtà, è altrettanto vero che non possiamo essere del tutto realistici. Pensate a una conversazione del tipo:

- Mi hai chiamato tu?
- Che?
- Mi hai chiamato tu al cell ?
- No, perché?
- Ho trovato una chiamata persa.
- Col mio numero?
- No, era riservato.
- Ah...
- Sennò non te lo chiedevo! ...Chissà chi era. Secondo te?
- Boh!
- Mah...

Come potete notare, questo dialogo è troppo aderente alla realtà.
Dobbiamo raggiungere un compromesso: evitare i passaggi privi di significato e dare maggiori informazioni.
In ogni caso, provate ad ascoltare chi vi circonda e prendete nota delle conversazioni. Vi aiuterà moltissimo quando dovrete cimentarvi con dei dialoghi.

Il sottotesto
Proprio come accade nella realtà, anche nei romanzi i dialoghi non sono l'espressione autentica dei nostri pensieri.
Spesso nascondono insulti, approcci di seduzione, velate macchinazioni. Ciò costituisce il sottotesto.

Es.
Le foglie frusciavano appena nell'afa del tardo pomeriggio. Si lasciò cadere sull'erba brulicante di formiche, e aspettò di vederla risalire la collina. La gonna alzata su un fianco e i piedi nudi.
- Che fai qui?
Giacomo si voltò di scatto.
- La collina è di tutti. - rispose.
- La collina, sì - rispose Federico.
- Mi fai compagnia?
- Con piacere. Da qui c'è una bella visuale. Se passa Maria la vedrò di sicuro. Stasera cena a casa mia.

Riuscite a percepire il sottotesto?
La tensione fra i due è palpabile, ma entrambi si sforzano di tenere a bada la gelosia e la rabbia. Giacomo desidera Maria, ma Maria è la ragazza di Federico che non può essere condivisa... la collina, sì. Federico non attacca direttamente Giacomo ma, con indifferenza “marca il territorio”, aggiungendo ciò che Giacomo non ha richiesto di sapere... stasera Maria cena a casa sua.
Uno scrittore abile deve saper utilizzare questo strumento per accentuare la tensione e, conseguentemente, l'attenzione del lettore. Lo scopo è sempre quello.

ESERCIZIO 9
Immagina una madre e sua figlia. Caratterizza i personaggi.
La madre sospetta che sua figlia sia incinta.
Crea una conversazione incentrata su argomenti futili ma che faccia trasparire il sottotesto: la madre non dovrà mai parlare direttamente o indirettamente delle gravidanze inaspettate, e i pensieri dei personaggi non dovranno essere in alcun modo palesati al lettore.

Prima di darvi appuntamento all'ottava lezione, due ultime raccomandazioni.
Primo, non confondete il vostro romanzo per un pulpito da prediche domenicali o comizi elettorali, soprattutto se il vostro personaggio è intento a svolgere un'attività più divertente. Chiaramente non vi è preclusa la possibilità di dire la vostra: filtrate le vostre opinioni attraverso i personaggi, nei tempi e nei modi più consoni.
Secondo, non abusate delle parolacce. Potreste risultare sgraziati e beceri.
E ora al lavoro: scrivete!